by Editore | 3 Aprile 2012 6:10
Il diagramma, basato su dati certificati, non lascia dubbi: il fotovoltaico ha fatto scendere di un buon 10 per cento il costo dell’elettricità più cara, quella del picco diurno. E la tabella successiva offre la conseguenza logica di questo aumento di concorrenzialità , che si somma all’offerta energetica immessa sul mercato dal vento, dall’acqua, dalla geotermia, dalle biomasse. Nel 2011 le fonti rinnovabili hanno consentito un risparmio sul prez-
zo dell’elettricità all’ingrosso pari a 396 milioni di euro. Una cifra che si moltiplica fino a quasi cento volte calcolando i vantaggi che si potranno ottenere nei prossimi 18 anni.
Sono i dati contenuti nell’Irex Annual Report 2012 curato dall’Istituto Althesys, uno studio che verrà presentato oggi a Milano, proprio nel momento in cui la polemica sugli incentivi alle rinnovabili ha raggiunto l’acme e ambientalisti, sinistra e imprenditori del settore sono in rivolta contro l’ipotesi di un taglio draconiano del sostegno all’energia pulita che porterebbe alla chiusura dell’intero settore in Italia.
«Noi non vogliamo entrare nel merito di giudizi politici, ci limitiamo a fornire dati», premette Alessandro Marangoni, l’economista che guida Althesys. «E i dati indicano con chiarezza un effetto positivo delle fonti rinnovabili sul sistema Paese in tutti gli scenari tracciati, anche se il traino è ovviamente più netto in quello in cui gli interventi sono più spinti».
Il rapporto costi-benefici
L’analisi si basa sulla classica comparazione costi – benefici in una proiezione che somma gli effetti dal 2008 al 2030. Sul lato dei costi figurano due voci. La prima è data dagli incentivi che servono a coprire il differenziale tra il prezzo dell’energia convenzionale e quello delle rinnovabili, uno scarto che diminuisce man mano che aumenta la competitività delle varie fonti (ad esempio per il solare è già previsto l’azzeramento degli incentivi tra 4 anni). La seconda voce di costo è rappresentata dalle strettoie della rete elettrica: essendo calibrata su poche grandi centrali comporta, nel nascente sistema decentrato, tassi di spreco che verranno eliminati entro il 2020.
Sul lato dei benefici la lista è più lunga. Si comincia con i ricavi diretti che mostrano un rapporto 1 a 3 tra quelli legati al valore degli impianti e dei servizi e quelli determinati dalle retribuzioni (le rinnovabili sono labour intensive). Poi si passa ai vantaggi economici generati dall’abbattimento delle emissioni (l’anidride carbonica ha un preciso valore di mercato, la riduzione degli altri inquinanti comporta benefici in termini di mancato aggravio per i costi sanitari e le ore di lavoro perse). E si conclude con la diminuzione del rischio energetico: il sole, il vento, la geotermia sono prodotti in casa, il prezzo resta fisso e nessuno può chiudere il rubinetto.
Il guadagno finale: 37 miliardi
Sommando costi e benefici si ricava un saldo positivo che vale, al 2030, tra i 21,8 e i 37,7 miliardi di euro. Ma se questa è la situazione come mai, all’interno del governo, c’è chi parla di un onere prodotto dalle rinnovabili pari a 150 miliardi di euro?
«E’ un calcolo clamorosamente sbagliato: a questa cifra si arriva moltiplicando per i 20 anni di durata del conto energia la differenza tra quello che oggi si riceve attraverso gli incentivi e l’attuale valore di mercato dell’elettricità », risponde Massimo Sapienza, presidente di Asso Energie Future, una delle associazioni di settore. «Ma è inverosimile che il costo del chilowattora resti bloccato per 20 anni. E’ molto probabile invece che nel giro di pochi anni il prezzo di mercato crescerà fino a superare il valore degli incentivi, che invece resta bloccato per tutto il periodo: da quel momento in poi le rinnovabili costeranno meno dei fossili».
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