by Sergio Segio | 28 Aprile 2012 7:31
Uno psicologo che vince il premio Nobel dell’economia è già di per sé un evento insolito. Se poi questo psicologo ha fatto le sue prime esperienze “sul campo” nell’esercito israeliano, è ancora meno banale. Ora Daniel Kahneman ha aggiunto un’altra qualità rara: il celebre docente di Princeton si rivela un delizioso divulgatore. Il suo libro Pensieri lenti e veloci (l’edizione italiana esce il 30 aprile, da Mondadori) in America è un best-seller. Dopo che tanti altri hanno cercato di saccheggiare le sue teorie con più o meno bravura, Kahneman dimostra che la scienza può essere divertente senza perdere il suo rigore. Soprattutto se questa scienza ci rivela i meccanismi più profondi del nostro cervello. Il pensiero umano, spiega Kahneman, funziona in base a due sistemi. Il Sistema 1, o Pensiero Veloce, è inconsapevole, intuitivo e costa poca fatica. Il Sistema 2 è consapevole, usa ragionamenti deduttivi, richiede molta più concentrazione, ed è ovviamente Pensiero Lento. Noi c’illudiamo spesso di farci guidare dal Sistema 2, di prendere le decisioni dopo un’attenta riflessione, mentre in realtà è il Sistema 1 a controllare la nostra vita per la maggior parte del tempo. Anche perché il Pensiero Lento è “pigro”, si affatica presto.
Lui stesso, il Sistema 2, adora abbandonarsi al suo fratello veloce, i cui automatismi gli risparmiano un bel po’ di energie. Il premio Nobel evita però l’uso di termini negativi come “irrazionalità “, riconosce anche al Pensiero Veloce delle qualità e dei meriti. «Il vero eroe di questo libro è lui», sostiene Kahneman. Se è indiscutibile che il Sistema 1 è all’origine della maggior parte dei nostri errori, è anche vero che produce tante “intuizioni esperte”, i riflessi automatici NEW YORK che sono essenziali nella nostra vita, per prendere decisioni importanti in poche frazioni di secondo. Un chirurgo in sala operatoria, o un vigile del fuoco di fronte a un incendio, attraverso il Pensiero Veloce fanno scelte di vita e di morte per affrontare delle emergenze, e molto spesso prendono la decisione giusta in quei pochi attimi. Rientra nel Sistema1 anche una certa intelligenza emotiva, la capacità di decifrare all’istante lo stato d’animo ostile o amichevole di chi ci sta di fronte. Il guaio del Pensiero Veloce è che non conosce i propri limiti. Ha tendenza a fare degli errori marchiani nella valutazione delle probabilità statistiche di un evento.
Generalmente usando il Sistema1 sottovalutiamo il rischio che avvengano “eventi rari” di tipo catastrofico; salvo invece sovrastimare la probabilità di un bis subito dopo che questi disastri sono accaduti. In questa intervista a Repubblica, Kahneman riassume le conseguenze della sua rivoluzione cognitiva: nel campo dell’economia, della politica… e della felicità umana.
La gloria accademica lei l’aveva già conquistata, perché siè deciso a scrivere un libro così poco élitario? «Volevo diffondere un linguaggio che può aiutarci tutti, nell’affrontare il modo in cui prendiamo decisioni».
È dagli anni Settanta che lei iniziò a demolire il mito di un Homo Economicus perfettamente razionale. Eppure fino alla crisi del 2008 i massimi esponenti del pensiero unico neoliberista, per esempio il banchiere centrale Alan Greenspan, hanno continuato a comportarsi come se i mercati fossero il non plus ultra dell’equilibrio razionale, e quindi capaci di autocorreggere gli errori.
«Il lavoro che iniziai negli anni Settanta con il collega Amos Tversky (scomparso nel 1996, ndr) è stato ampiamente accettato dagli economisti, è materia d’insegnamento da Harvard a Berkeley, soprattutto in quella che si definisce economia comportamentale (“behavioral economics”). Nella crisi finanziaria hanno giocato aspetti d’irrazionalità , per esempio in coloro che hanno contratto dei mutui pur sapendo che non avrebbero mai potuto ripagarli.
Altri attori della crisi invece hanno agito facendosi guidare dal proprio interesse. L’ex presidente della Federal Reserve Greenspan ha finito per ammettere la fragilità della sua ipotesi, cioè che le banche non avrebbero mai corso dei rischi inaccettabili. L’illusione della razionalità ha influenzato certe politiche economiche: per esempio convincendo molti che non è necessario proteggere il cittadino-risparmiatore dai suoi errori; oppure generando la certezza che chi ha firmato un contratto ne abbia davvero letto tutte le clausole. La mia interpretazione del pensiero umano sfocia su politiche più interventiste, nel senso che è bene proteggere i cittadini-consumatori». Il Pensiero Veloce può far tesoro dei propri errori,e migliorare? Esiste una sorta di “evoluzione” nella qualità del pensiero umano che possa applicarsi alle collettività ? «Noi sappiamo come funziona l’apprendimento negli individui: attraverso un “feedback”, un ritorno d’informazione, possiamo riconoscere rapidamente di avere commesso uno sbaglio. Lo stesso non si applica necessariamente per i mercati, o per le politiche dei governi: perché le conseguenze degli errori sono vaghe, le informazioni sugli sbagli tornano indietro lentamente. Ma anche a livello individuale, sono pochi coloro che riempiono bene tutti i requisiti per imparare dai propri sbagli». Quali conseguenze politiche bisognerebbe trarre da questa scienza del pensiero umano? Lei è stato definito un “libertario paternalista”, perché è in favore di un intervento pubblico a base di “nudge”, ovvero una “spinta leggera”, un incoraggiamento soft a base di incentivi e persuasione.
«Non tutti amano queste spintarelle, una parte della cultura politica di destra non le vuole. Però ho trovato un’apertura nel premier inglese David Cameron, forse il mio più grande successo politico da oltre vent’anni».
La sua scienza del pensiero umano sfocia anche in una scienza della felicità . Lei stesso usa un termine come “psicologia edonistica”. Ha finito per interessare perfino dei governi, che si sono messi in cerca di un indice della Felicità Interna Lorda da sostituire al Pil. Come giudica questo interesse? «È vero che sono stato fra i primi a occuparmi dell’argomento, e in modo più intenso nell’ultimo decennio. Mi preoccupa il fatto che questo movimento stia andando un po’ troppo veloce. Ho due timori. Il primo: abbiamo bisogno di un indice che sia davvero adeguato, guai a fare troppi compromessi con la qualità , si finirebbe per stare ancora peggio di oggi, perché rischieremmo di fidarci di misurazioni che sono fuorvianti. La mia seconda preoccupazione è questa: la felicità è una parola grossa. Io preferirei misurare la sofferenza umana. Ridurre la sofferenza è una responsabilità della società , ed è un obiettivo più accettabile da parte di tutti». Tra Pensiero veloce e Pensiero Lento,a quale dobbiamo affidarci se vogliamo esprimere il massimo della creatività ? «Per come descrivo il Sistema 1 nel mio libro, è evidente che la creatività dipende da quello. Altri studi però hanno dimostrato quanto la disciplina e la perserveranza aiutino a diventare creativi.
Nella misura in cui il Sistema 1 opera le associazioni d’idee, è essenziale per la creatività . Ma per la tenacia e la persistenza dobbiamo fare affidamento anche sul Pensiero Lento».
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