Le infinite cerimonie di una teologica radicale

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Il filosofo francese Alain Badiou ha avuto un percorso intellettuale ricco di esperienze formative e di pratiche di scrittura diverse che includono anche romanzi e piece teatrali. Ha ricevuto un’intensa educazione artistica e in particolar modo musicale dalla madre. L’eredità  intellettuale paterna è stata invece quella della matematica alla quale Badiou si è dedicato con impegno di ricercatore per un consistente periodo della sua vita. Anche dopo aver scelto la filosofia, la matematica ha continuato a giocare un ruolo rilevante nella sua opera. È per esempio di argomento matematico quello che Badiou considera il suo «primo libro di filosofia» del 1969, da poco tradotto in italiano con un’importante ed inedita prefazione, Il concetto di modello. Introduzione ad una epistemologia materialista della matematica (tradudione di Fabio Francescato, Asterios, pp. 148, euro 19). 
In questo libro Badiou, oltre a confrontarsi con idee diverse di modello come ad esempio quelle implicite nella «struttura» di Lévi-Strauss o nel «matema» di Lacan, a distanza di anni ritraccia la sua vicinanza a quella che chiama «la genealogia platonica francese» o neo-cartesiana della sua filosofia contro quella «vitalistica» che muovendo da Nietzsche è approdata al pensatore che Badiou sente come il suo più rivale a sinistra e cioè Deleuze. Al centro dell’argomentazione di Il concetto di modello sta il teorema di completezza di Gà¶del e con esso l’esigenza di una struttura solida, materialista per Badiou filosofo politico di ancorare la coerenza di una teoria del reale ad unico modello, per sottrarre la realtà  alle oscillazioni della possibilità  così da inscrivere la realtà  stessa in una forma geometrica rigorosa. Scrive Badiou, «una struttura è modello di una teoria formale se tutti gli assiomi di questa teoria sono validi per questa struttura».
Tale esigenza di completezza che in L’essere e l’evento (1988) porta lo stesso Badiou quasi ad identificare ontologia e matematica, si ritrova in un recente piccolo libro, Finito e infinito (traduzione di Elena Pozzi, postfazione di Paolo Barbieri, pp. 61, euro 8) nel quale il filosofo francese contrappone all’indeterminatezza dell’infinito potenziale con tutte le sue possibili e a suo giudizio pericolose derive empiriche l’infinito attuale di Cantor. Cioè quel tipo di infinito «che era già  quello di Dio o dell’universo che comprende tutti i numeri infiniti. Questo infinito attuale è come il limite dell’infinito potenziale». Un infinito definito dunque, utilizzabile come modello per costruire il soggetto nel reale che in Badiou è sempre anche soggetto politico. 
La questione della costruzione del soggetto è anche al centro di un altro libro che raccoglie Cinque lezioni sul “caso” Wagner (traduzione e cura di Fabio Francescato, Asterios, pp. 284, euro 25) nel quale Badiou riprende la lontana difesa di Baudelaire del compositore tedesco e, passando ovviamente per Nietzsche, affronta le interpretazioni negative riguardanti Wagner. Fra queste Badiou passa in rassegna in primo luogo quella di Adorno che ha segnato uno spartiacque nella ricezione moderna del compositore e in secondo luogo quella di Lacoue-Labarthe che rappresenta una cesura nella così detta «riapertura del caso Wagner» che aveva portato personaggi del calibro di Boulez, Chérau e Regnault a rivalutare il musicista tedesco in una dimensione non solo al di fuori del mitologema di un Wagner proto-nazista, ma addirittura, come si accennava, in quella di un Wagner modello per la costruzione del soggetto moderno. 
In Wagner, che con Benjamin si può definire come un caso di estetizzazione della politica, Badiou vede anche una possibilità  di riproposizione futura di una progettualità  grandiosa e ambiziosa, «una grande arte amputata della totalità , una grande arte che deve essere concepita non come una realizzazione in forme estetiche della totalità ».
Proprio nell’enigmatico Parsifal, Badiou scorge profilarsi tale grandiosità . Vede quel passo avanti che il pensiero critico e i critici della musica di Wagner non fanno e cioè quello di accettare con maturità , pur se a tratti caricaturale, la costruzione di un soggetto politico a partire dalla frattura e dallo scacco, senza sublimazioni statutarie e neutralizzanti. 
La forma che il personaggio Parsifal offre non è a parere di Badiou dunque quella legalitaria totalizzante, ma quella rituale, come in qualche modo già  suggerisce il sottotitolo dell’opera Dramma sacro. Nel Parsifal, secondo Badiou che qui riprende l’interpretazione del poeta Mallarmé, Wagner indica la possibilità  di «una cerimonia senza trascendenza» che lo stesso filosofo, come è noto, vede in quella che auspica essere politiamente «l’ipotesi comunista».


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