Le inattese ambiguità  di un classico per bambini

by Editore | 6 Aprile 2012 7:10

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«Vola vola vola vola l’ape Maia, gialla e nera, nera e gialla tanto gaia…»: tra i bambini degli anni Ottanta e Novanta, nessuno è sfuggito al ritmo della appiccicosa e ipnotica canzoncina cantata da Katia Svizzero, sigla del kodomo «L’Ape Maia» prodotto dalla Nippon Animation e dalla Apollo Film, che tra il 1975 e il 1982 realizzarono centoquattro episodi, novantatré dei quali apparsi anche in Italia a partire dal febbraio 1980. È probabile, comunque, che anche i fratelli minori o addirittura i figli di quegli ex bambini conoscano bene la grassa ape con i riccioli biondi, oltraggiosamente leziosa ma capace, come un Pollicino artropode, di affrontare e superare le difficoltà  e i pericoli del vasto mondo senza la protezione degli adulti, affidandosi solo al proprio candido coraggio.
Considerato «educativo e pedagogico», declinato a suo tempo dal marketing in dozzine di formati (dall’abbigliamento ai libri, dai giocattoli fino alle merendine), il personaggio ha infatti continuato a ronzare e svolazzare nelle videocassette e poi nei dvd e, almeno fino al 2009, su svariate reti televisive. E presto tornerà  a farlo, visto che Studio 100 e Planeta Junior si sono associati per realizzare una Ape Maia 3D in cinquantadue episodi, che dovrebbe debuttare prossimamente su Rai YoYo.
La notizia arriva – e non è un caso – proprio in coincidenza col centesimo compleanno della bambina-insetto, o meglio del libro da cui è stata tratta la serie animata: Le avventure dell’Ape Maia, dello scrittore tedesco Waldemar Bonsels (1880-1952), pubblicato per la prima volta in Germania nel 1912 e incluso fino alla metà  degli anni Sessanta del catalogo della Bemporad-Marzocco; al trionfo televisivo toccherà  poi generare un infinito numero di librettini che sono in realtà  prodotti derivati o «micro-novellizzazioni» degli episodi televisivi.
Il successo del cartone animato non ha contribuito, però, a far conoscere ai lettori italiani la «vera» Ape Maia, quella letteraria, assai meno nota e letta che nel paese d’origine, e della quale oggi si cercherebbe inutilmente traccia nei cataloghi dei nostri editori specializzati in libri per l’infanzia. Ma se qualcuno avesse voglia di recuperare in biblioteca la storica traduzione di Evelina Levi o quella di Francesco Saba Sardi (Mondadori 1978), scoprirebbe che non si tratta di una storiellina per bambini piccoli, come fa pensare il cartoon.
Die Biene Maia – e ancora di più il suo seguito del 1915, Himmelsvolk, pubblicato nel 1983 dalla Sei col titolo Il regno degli elfi – è un solido romanzo con sfumature filosofiche, nel quale la natura, sotto un velo di romantico rimpianto per una perduta innocenza pre-industriale, è in realtà  teatro di una feroce lotta per la sopravvivenza del più forte, mentre Maia appare come una ribelle pronta a rientrare nei ranghi per rispondere al richiamo della patria-alveare. Un testo, insomma, destinato a ragazzi piuttosto cresciuti o perfino agli adulti, tanto che, dice la leggenda, durante la seconda guerra mondiale fu tra i preferiti dai soldati del Terzo Reich. 
Le scoperte davvero interessanti, tuttavia, riguardano Bonsels, uno degli autori tedeschi più noti degli anni Venti, che scriveva mediocri saggi di argomento religioso e filosofico e soprattutto romanzi erotici – opere, per la verità , tutt’altro che apprezzate dalla critica del tempo, ma molto amate dal pubblico al punto che il resoconto del suo Viaggio in India, uscito nel 1916, vendette mezzo milione di copie e fu tradotto anche in Francia. 
Nonostante lo scrittore non fosse certo un sovversivo, nel 1933 i nazisti misero all’indice gran parte della sua produzione per via di un erotismo «scandaloso», e Bonsels, che pur senza essere iscritto al partito coltivava una personale mitologia molto vicina a quella del nazionalsocialismo, pensò bene di riguadagnare il favore del regime pubblicando nel 1943 Der Grieche Dositos, un romanzo che intendeva, così dice la prefazione, propagandare e sostenere l’antisemitismo, offrendo una visione «ariana» della figura di Cristo, del quale veniva negata l’appartenenza al popolo ebraico. Erotomane e mistico, autore di best seller ante litteram, antisemita convinto, Bonsels sarebbe ormai giustamente archiviato e dimenticato (anche se un anno fa la Literaturhaus di Monaco gli ha dedicato un convegno intitolato Die Ambivalenzen des Waldemar Bonsels), se l’apetta centenaria non impedisse al suo fantasma di svanire del tutto. 
Ma se quest’ultimo aleggia ancora tra noi, il merito (o la colpa) è degli sceneggiatori e animatori giapponesi che, impegnati in una gigantesca rilettura dei classici per l’infanzia occidentali i cui frutti hanno accompagnato per un ventennio i bambini di tutto il pianeta, si sono presi il disturbo di trasformare Maia in un soave prodotto industriale e politicamente corretto, neutralizzando gli echi autoritari e il furore di un finale guerriero (la grande battaglia tra api e vespe, a chiusura del romanzo) che un secolo dopo sembra avere il sapore di un presagio.

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