Le comiche del Settecento

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Il ritrovamento dell’archivio personale di uno scrittore di teatro del Settecento fa pensare, con Bulgakov, che i manoscritti non brucino, soprattutto quando l’autore in questione, Carlo Gozzi, ha più volte ostentato scarsa sollecitudine per i propri testi, composti a suo dire per mero divertissement e donati a una compagnia di attori. E sebbene le sue dichiarazioni di noncuranza si rivelino del tutto inaffidabili, la scoperta di Fabio Soldini nella villa della famiglia Gozzi a Visinale è talmente sbalorditiva da sembrare romanzesca. Le carte di Gozzi, acquisite dalla biblioteca Marciana di Venezia, che nel 2006 le ha esposte in una mostra e ne ha stampato il catalogo, non solo danno l’opportunità  di frugare nello scrittoio del padre di Turandot per decifrarne intenzioni e progetti, ma ci restituiscono testi inediti finora completamente sconosciuti che aprono prospettive nuove sul teatro veneziano del Settecento. I più interessanti fra questi scritti sono ora accessibili al pubblico nel volume Commedie in commedia. Le gare teatrali, Le convulsioni, La cena mal apparecchiata, curato da Fabio Soldini e Piermario Vescovo per Marsilio (pp. 489, euro 24), con cui si inaugura l’Edizione nazionale delle opere di Carlo Gozzi.
Le gare teatrali, commedia in prosa di cui si conserva anche la versificazione in martelliani del primo atto, immergono il lettore nel clima infuocato della guerra poetica fra Goldoni e Chiari per la conquista dei palcoscenici veneziani. Nulla di strano se pensiamo che Gozzi aveva esordito in teatro con l’Amore delle tre melarance, in cui i due contendenti venivano messi alla berlina nelle vesti di Celio Mago e della Fata Morgana, se non fosse che il testo ritrovato riporta la data del 1751, ben dieci anni prima dell’entrata di Gozzi nell’agone comico. Non vi è dunque descritto il Goldoni già  affermato, autore dei grandi capolavori, ma «il matto» che ha da poco preteso, con trasparente allusione al Teatro comico, «di mettere in una commedia tutte le regole che ci vogliono a fare una commedia»; mentre il suo storico avversario Pietro Chiari è ancora alle prime armi, costretto dalla povertà  a prostituire la sua penna. 
La commedia illumina così la prima più virulenta fase delle polemiche e dimostra come il giovane Gozzi già  pensasse di prendervi parte, costruendo – suggerisce Soldini – una sorta di Teatro comico al contrario in cui insinuare anche se stesso, nelle vesti dell’ambiguo conte Barbino. Nella sarabanda delle lotte fra fazioni, con scontri a tutti i livelli della scala sociale, Le gare fanno rivivere dunque una delle più intense stagioni teatrali settecentesche, cui alludono continuamente attraverso ogni sorta di rimandi caricaturali. A farne le spese è soprattutto Goldoni, il cui stile «puzza di estragiudiziale (…) che ammorba», o la cui stessa controfigura rivendica, con maliziosa parafrasi della prefazione Bettinelli, «il mondo e il teatro sono i miei libri, e particolarmente i bordelli». Su ogni altro aspetto prevale dunque l’inconfondibile piglio satirico di Gozzi, con la gustosa aggiunta di uno sguardo ancora più fresco sulla fase decisiva della riforma del teatro.
Se le Gare teatrali appartengono alla preistoria dell’attività  gozziana – a un periodo in cui l’ancora giovane Carlo non disdegnava il consiglio della mal sofferta cognata Luisa Bergalli, di cui le carte ritrovate conservano interessanti annotazioni – gli altri due inediti ci riportano invece al 1763, poco dopo la partenza di Goldoni per Parigi e di Chiari per Brescia. Come nota Piermario Vescovo, con l’assenza dei due avversari la scena veneziana appare ormai una «piazza vuota» che chi rimane deve colmare con una maggiore varietà  di repertorio. Lo dimostra il prologo, dilatato fino a diventare una piccola pièce, Le convulsioni, in cui gli attori della compagnia Sacchi discutono della necessità  di cimentarsi in opere «serie» alternandole alla rappresentazione di commedie a soggetto. Contrariamente all’immagine vulgata, ritroviamo qui il simbolo della commedia dell’arte, Antonio Sacchi (il Truffaldino per cui era stato composto il Servitore di due padroni) mentre difende le opere senza maschere per varietà  repertoriale. Pur confermando la sua fascinazione nei confronti della commedia all’improvviso – antidoto proposto nel finale delle Gare ai disordini prodotti dalle competizioni poetiche – Gozzi evidenzia la necessità  di alternarla al serio, mostrando al contempo il ruolo attivo degli attori nella vita teatrale dell’epoca.
Ancora più interessante è poi la menzione delle «due farse» introdotte dalle Convulsioni: una traduzione-rifacimento gozziana di un originale francese di Hauteroche, La cena mal apparecchiata, e l’Osteria della posta di Goldoni. La radicale opposizione fra i due autori così come siamo stati abituati a concepirla deve dunque essere ripensata sulla base della loro contemporanea presenza nei bauli degli stessi attori e addirittura in dittico in una sola sera.
Al di là  dei molti elementi curiosi sulla Venezia del Settecento – le cui calli e campielli sono descritti in una vivacissima scena della Cena mal apparecchiata – o sulle polemiche teatrali che coinvolgevano, lo ricordiamo, personaggi come Giorgio Baffo, Giacomo Casanova e persino Voltaire, le Commedie in commedia ci costringono dunque a ripensare il difficile rapporto fra Gozzi e Goldoni: il precoce sviluppo di questo antagonismo testimoniato dalle Gare viene bilanciato infatti dalla maggiore apertura del conte verso soluzioni da commedia borghese tipiche dell’avversario e dalla longevità  di Goldoni nei cartelloni delle compagnie anche dopo la sua partenza.
I tre inediti emersi dalle carte gozziane rinfrescano così, con la ricchezza tipica degli scritti metateatrali, la nostra immagine del teatro settecentesco e ci aprono una finestra sui professionisti dello spettacolo, sulla loro vita e le loro traversie, capace di conservare ancora oggi una straordinaria vitalità .


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