Lavoro, Monti convince i leader: «Sono stati sciolti tutti i nodi»

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ROMA — Mancano tre minuti a mezzanotte quando Mario Monti lascia Palazzo Giustiniani dopo tre ore di vertice con i leader della sua maggioranza anomala e si concede un sospiro di sollievo: «È andata bene, abbiamo sciolto tutti i nodi». L’intesa sul mercato del lavoro c’è e il governo, dopo giorni di impasse sul punto cruciale dell’articolo 18, può riprendere speditamente il cammino. 
Nei licenziamenti palesemente illegittimi il reintegro sarà  possibile, per il Pd era questo il punto cruciale e Pier Luigi Bersani, protagonista di una maratona che lo ha visto impegnato per oltre cinque ore a lavorare di bulino con il premier, si prende la sua parte di merito: «Abbiamo detto le nostre cose, ora il governo deciderà ». Il patto di mezzanotte è ben più di un impegno a trovare un compromesso che accontenti tutti, ma Bersani vuole accertarsi che il reintegro sia davvero previsto e ci mette ancora un pizzico di prudenza: «Vedremo le carte…».
È stata una battaglia dura e non è finita. Monti potrebbe rivedere nelle prossime ore Bersani, Alfano e Casini per limare qualche dettaglio del testo, che Napolitano aspetta al Quirinale per l’ultimo esame e per la firma, prima del deposito in Parlamento. «Il governo e i leader delle forze politiche di maggioranza si sono impegnati per un iter di approvazione efficace e tempestivo», accelera Palazzo Chigi con una nota ufficiale, in cui l’esito dell’incontro in notturna viene definito «positivo». La partita è chiusa, ma l’accordo complessivo, che riguarda come in un gioco di incastri la nuova governance della Rai e il pacchetto giustizia, ha ancora bisogno di una messa a punto. La svolta è maturata in un’aria elettrica che ricorda gli «incontri del tunnel» di fine novembre, quando Monti consultava in gran segreto i leader dei partiti per formare il governo. Per sbloccare l’impasse sui licenziamenti il premier ha visto Bersani, Alfano e Casini, presenti Elsa Fornero, il viceministro Vittorio Grilli e il sottosegretario Antonio Catricalà . Un vertice atteso, che Monti ha convocato in concomitanza con la diretta di Milan-Barcellona. La trattativa è andata avanti a oltranza, il tempo di accordarsi su un sistema di pesi e contrappesi che comprende, tra l’altro, modifiche all’articolo 18 in cambio di concessioni sulla flessibilità  in entrata. 
L’intesa era ineludibile, Napolitano ha riservatamente invitato governo e partiti a «fare le cose per bene» ed Elsa Fornero al mattino afferma che «il testo è praticamente pronto». Ma all’ora di pranzo nel Pd gli animi sono piuttosto agitati, Enrico Letta su Twitter lancia appelli alla cautela: «Sento in giro ottimismo eccessivo. Occhio ai boomerang…». A Palazzo Chigi la battuta di Luigi Angeletti sulla Fornero da «licenziare per giusta causa» arriva come una doccia gelida. Monti però tira dritto, determinato a non lasciare che il testo venga stravolto. Nel primo pomeriggio si rimette all’opera col ministro del Lavoro e alle cinque si chiude a palazzo Chigi con Corrado Passera. Tre quarti d’ora più tardi lascia la sede del governo senza scorta, a bordo di un’auto «misteriosa». È giallo, ma dura poco. Il premier rispunta a palazzo Giustiniani ed è lì che riappare Bersani, eclissatosi dalla Camera a metà  pomeriggio. Il leader del Pd raggiunge Monti passando dall’ormai celebre tunnel che collega il Senato a palazzo Giustiniani e così faranno, dopo di lui, anche Alfano e Casini. Il faccia a faccia tra il segretario e Monti dura un’ora e quando finisce Bersani non va via. Resta con il premier per quasi 5 ore, perché in gioco non c’è solo il mercato del lavoro ma la solidità  dell’esecutivo. Su una cosa Monti e il segretario concordano ed è la necessità  di far presto, perché lo spread ha ripreso a salire e l’Europa guarda alle mosse dell’Italia. Il vertice allargato comincia alle nove. Alfano vuole chiudere, ha stretto col capo del Pd un accordo di non belligeranza e gli fa da sponda, mentre Casini media tra gli opposti. Si va avanti così, trattando a tutto campo e soppesando ogni parola, con Alfano che chiede maggiore flessibilità  in entrata e Bersani che insiste su minore flessibilità  in uscita e modello tedesco per i licenziamenti. È andata bene, nonostante il percorso fosse assai accidentato. «Se non sarà  previsto il reintegro — così suonava l’ultimo monito di Susanna Camusso, Cigl — continueremo le iniziative di protesta».


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