L’onda francese che scuote l’Unione

by Sergio Segio | 30 Aprile 2012 6:41

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Quasi sotterranee, queste evoluzioni sono talmente nuove e profonde che perfino i francesi le vivono senza percepirle appieno, ma prendiamo Franà§ois Hollande: l’uomo che con ogni probabilità  diverrà  il primo presidente di sinistra dopo Franà§ois Mitterrand non ha niente a che vedere con la genealogia del socialismo francese. Figlio della piccola borghesia di provincia, un padre molto a destra, una madre che per generosità  tendeva dall’altro lato, è cresciuto sulle terre dell’Ovest cattolico che avevano sconvolto la sociologia politica francese, spostandosi da destra a sinistra negli Anni ’70.
Non solo Hollande è l’incarnazione di questa rottura storica, non solo il suo socialismo non è marxista bensì cristiano, ma egli si è fatto le ossa politicamente negli Anni 80, nel cuore di un potere mitterrandiano il cui stampo non era l’utopia rivoluzionaria. Non c’è bisogno di ricordare a questo figlio spirituale di Jacques Delors che la politica è l’arte del possibile, perché lui è un realista, nato nel realismo, e ha sempre saputo che con le casse vuote non si fa niente.
In questa Francia dove il ricordo del 1789 era rimasto tanto vivo che la sinistra non poteva dirsi tale senza promettere la rivoluzione, Franà§ois Hollande è il primo dirigente socialista a presentarsi come socialdemocratico, uomo del compromesso permanente fra capitale e lavoro. Calmo, tranquillo, molto più caustico che lirico, incarna la rottura, tanto più netta poiché il suo partito oggi pesca soprattutto fra la piccola e media borghesia urbana, tollerante e modernista ma molto più sociale che socialista.
Non ci sono più ostacoli ideologici allo sviluppo di un’azione comune delle sinistre europee. È l’aspetto positivo di questa normalizzazione della Francia, di questa europeizzazione di cui l’altro segno è assai meno piacevole.
Dalla Liberazione in poi l’estrema destra francese era marchiata d’infamia. Aveva a tal punto collaborato con l’occupante nazista che perfino i suoi sostenitori non osavano più richiamarsi a essa. Il collaborazionismo e Vichy erano rimasti un’onta nazionale, tanto che perfino la destra non voleva più dirsi di destra e serrava le fila, a denti stretti, dietro il gollismo, una forza ispirata all’idea della «grandeur francese» più che al conservatorismo e al denaro. Questa destra contribuiva alla peculiarità  della Francia, ma anche lì si è voltato pagina.
Già  nel 2007, Nicolas Sarkozy aveva esortato la destra a liberarsi dei «complessi» e si era fatto beffe di tutti i principi fondanti del gollismo, decantando i pregi del liberismo e l’amore per gli Stati Uniti. Fu un segnale chiaro e forte alla vera destra, tanto che gli elettori del Fronte nazionale si riversarono in massa su di lui, e l’estrema destra ha continuato a prosperare, legittimata da Sarkozy, dalla sua difesa della «identità  francese» e dagli attacchi contro l’immigrazione.
Il risultato è che il Fronte nazionale è il terzo partito di Francia, e i suoi elettori, il 6 maggio, decideranno il ballottaggio; Sarkozy li insegue più che mai, riprendendo le parole e gli argomenti di Marine Le Pen. Tutto lo scacchiere francese è sottosopra e, se la destra uscisse sconfitta duramente come prevedono i sondaggi, c’è il rischio che si riaggreghi intorno a un Fronte nazionale che ora aspira a governare.
Come nel resto dell’Unione, l’estrema destra è risorta in Francia e si alimenta, come dappertutto, della paura della globalizzazione e del rifiuto dell’immigrazione, del rigetto dell’Europa e della nostalgia delle frontiere nazionali. L’aria è impregnata dei fetori degli Anni 30, ma la Francia si sta europeizzando tanto a destra quanto a sinistra, e l’evoluzione si vede dall’importanza che hanno assunto i temi europei.
In questa campagna Sarkozy aveva puntato sull’approvazione del fiscal compact per rimontare lo svantaggio. L’elettorato si era disamorato di lui, perché si era inimicato la sinistra e aveva deluso le destre, ma aveva creduto di poter sfruttare questo patto di rigore, che aveva restituito fiducia nell’euro, per presentarsi come uomo di Stato, salvatore dell’Europa e della moneta unica.
È questa la carta che aveva giocato inizialmente, e quando Hollande ha annunciato che in caso di vittoria pretenderà  la rinegoziazione dell’accordo, che non lo firmerà  senza misure per il rilancio dell’economia, Sarkozy crede d’aver trovato l’errore che gli avrebbe mandato al tappeto la sinistra. Si fa vedere al fianco di Angela Merkel, “investire” da lei come dirigente responsabile che impedirà  a quel socialista irresponsabile di precipitare di nuovo l’Unione nella tempesta: ma non ha fatto i conti con l’opinione pubblica.
La posizione di Hollande non ha scioccato i francesi; anzi, li ha sedotti perché essi hanno apprezzato il suo «no» al rigore venuto da Bruxelles, e il fatto che lui, europeo convinto, entusiasta e orgoglioso, sposi la collera montante contro istituzioni diventate imperscrutabili, e politiche comuni ridotte, come in Grecia, a sempre più austerità . Hollande ha interpretato talmente bene l’opinione pubblica francese che Sarkozy si è in fretta trasformato in fustigatore dell’Europa, e infatti l’Europa e le sue politiche sono l’argomento più dibattuto in questa campagna nazionale.
Non è soltanto che la Francia si sia europeizzata. È successo qualcosa di ancora più affascinante e significativo: la campagna presidenziale francese ha rimescolato le carte in tutto il resto dell’Unione, proprio come il Texas o la California possono annunciare una svolta nella politica degli Stati Uniti d’America. Di colpo, tutta l’Europa parla della necessità  di coniugare le misure per la riduzione del debito e la politica di rilancio dell’economia. Ora keynesiani e liberali si affrontano in tutta Europa sugli strumenti di questo rilancio, inaugurando un braccio di ferro cpaneuropeo di cui solo le elezioni in Francia, Germania e Italia potranno determinare il risultato.
Tutto succede, insomma, come se i dibattiti di uno degli Stati dell’Unione, la Francia, avessero influenzato tutti gli altri, come se l’Europa fosse già  diventata un insieme politico, come se gli Stati Uniti d’Europa già  esistessero. Ne siamo ben lontani, ma è verso questo orizzonte che la Francia e le sue presidenziali hanno fatto avanzare l’Unione.
(traduzione di Fabio Galimberti)

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