L’America processa l’Europa “Troppi tagli frenano la crescita”
NEW YORK. Lo denuncia in un duro editoriale il New York Times, facendosi il portavoce delle preoccupazioni della Casa Bianca, del Fondo monetario e perfino dei Brics. «Austerità distruttiva», così definisce le politiche adottate nell’eurozona. L’ultimo indice dell’economia mondiale elaborato dalla Brookings Institution per il Financial Times lo conferma: dagli Stati Uniti alla Cina è in atto un pericoloso rallentamento della ripresa, rispetto all’autunno scorso oggi anche le “locomotive” americana e asiatica perdono colpi. La spiegazione è legata ai gravi errori compiuti in Europa. Per compensare l’effetto depressivo delle politiche di austerity, non basta più neppure Mario Draghi. Nelle ultime settimane il pessimismo dei mercati finanziari è legato proprio a questa scoperta: gli aiuti straordinari che la Bce ha dato alle banche stanno ormai esaurendo il loro effetto.
Il “meeting di primavera” del Fmi a Washington quest’anno mette in scena un implicito processo all’Europa. Solo in apparenza dal summit arrivano buone notizie: aumentano le risorse che il Fondo monetario potrà destinare ad aiuti all’eurozona, con una “potenza di prestito” che sale oltre i 700 miliardi di dollari. Un esponente del “negazionismo” come il commissario europeo agli affari economici, Olli Rehn, dichiara che questa è «una buona notizia». La verità è che il Fmi deve aumentare la sua potenza di fuoco perché neppure il super-fondo salva-Stati dell’eurozona basterebbe a far fronte a un default della Spagna. E di questo ormai si discute apertamente. Il caso spagnolo, che sui mercati ha sostituito le palpitazioni greche, viene analizzato a Washington come la più perversa esemplificazione del “negazionismo” europeo. Il segretario al Tesoro americano, Tim Geithner, esorta i leader dell’Unione ad essere «più creativi, perché evitare la prossima fase della crisi dipende da voi». Creativi: nel senso di discostarsi dalla rigidità distruttiva delle ricette applicate finora.
La Spagna, osservano gli americani, viene curata come i medici del Settecento curavano tutte le malattie: con salassi, poi più salassi, infine altri salassi. La terapia di austerity è assurda per un paese che entrò nella crisi con bassi livelli di debito pubblico. Madrid non è un caso di default provocato da troppe spese statali, è invece una bolla sul tipo di quella americana, generata dai debiti privati. Ma i salassi imposti dall’ortodossia tedesca spingono la Spagna verso una recessione sempre più profonda, che impedisce di riassorbire i debiti privati. È un problema che si estende a gran parte dell’eurozona: il Fondo monetario invoca una urgente ricapitalizzazione delle banche europee, proprio perché la “tenda a ossigeno” eretta da Mario Draghi per tenerle in uno stato di vita artificiale sta esaurendo i suoi effetti.
Non è rassicurante neppure l’atteggiamento dei Brics. Al summit di Washington parla per loro il ministro delle Finanze del Brasile, Guido Mantega: si lancia in una requisitoria contro la lentezza nell’aggiornare gli equilibri di potere nelle istituzioni della governance globale. «All’interno del Fmi – denuncia l’esponente brasiliano – il Lussemburgo ha più peso dell’Argentina o del Sudafrica; i diritti di voto della Spagna superano quelli di tutti i 44 paesi dell’Africa sub-sahariana messi assieme. È incredibile». La fotografia dei rapporti di forza all’interno del Fmi sembra una di quelle immagini ingiallite che si ritrovano in soffitta in occasione di un trasloco: un reperto storico, dell’epoca dei nonni. Ma questo anacronismo, che era intollerabile già alcuni anni fa, ora diventa semplicemente impraticabile. Da Cina, India, Brasile, Russia e altri emergenti il Fmi si aspetta un contributo sostanziale all’aumento delle sue capacità di prestito. Quella Spagna che è il primo dei naufraghi da salvare, deve rassegnarsi a un declassamento brutale; e dietro di lei lo stesso destino aspetta gli altri europei con la possibile eccezione della Germania. Non sono questioni di immagine ma di sostanza. Le nuove potenze emergenti parlano apertamente di “condizionare” gli aiuti all’eurozona. Vuol dire che a fronte di quegli aiuti, Bruxelles e Francoforte dovranno accettare che i prestatori di ultima istanza dicano la loro sulla bontà delle politiche economiche applicate nel Vecchio continente.
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