La scommessa politica del pensiero critico

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Così si presenta questo conciso e straordinario scritto di Giorgio Lunghini, il quale subito avverte il lettore che «l’economia è una disciplina che non progredisce col passare del tempo, o per lo meno non progredisce nel senso in cui progrediscono la fisica e la medicina». «L’economia politica classica nasce come scienza del capitalismo» e ha «una storia relativamente breve: poco più di tre secoli». Scienza del capitalismo in cui la distribuzione del prodotto sociale tra le classi è materia di conflitto; in cui la norma è la crisi e non l’equilibrio; e in cui gli agenti prendono le loro decisioni in condizione di incertezza e sulla base di una conoscenza limitata». «Conflitto, crisi, incertezza» è appunto il titolo di questo prezioso volumetto, solo 130 pagine, da leggere con forte concentrazione. Ricardo per il conflitto, Marx per le crisi, Keynes per l’incertezza.
Il libro, ripeto, si rivolge al lettore comune, ma – è la mia esperienza di lettore -, non deve e non può leggere d’un fiato queste 130 pagine, perché ognuna di essa richiede la massima attenzione, perché la scrittura semplice e chiara sviluppa concetti complessi, richiami storici, argomentazioni teoriche.
E da questa lettura, semplice, ma profonda emerge anche la forza concreta che il capitalismo, ancorché in crisi, ha sulla cultura e sulla scienza economica. È difficile non chiedersi perché, nonostante Ricardo, Marx, Keynes e Sraffa la teoria neoclassica sia ancora dominante, anche in una fase, come quella attuale, nella quale la finanza e il progresso tecnologico, le nuove macchine post elettroniche stanno provocando una crisi, che è difficile non definire epocale, tanto da farci sentire dentro un interregno, tra un mondo che va scomparendo e un nuovo mondo del quale non siamo ancora in grado di definire forme e contenuti. Scriveva Gramsci: «il vecchio muore e il nuovo non può nascere». «Conflitto, crisi e incertezza» sono il nostro presente. Leggiamo le pagine di questo libro riflettendo sulla nostra vita presente. E per questo mi paiono ottimistiche le pagine sui nostri nipoti.


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