La nuova secessione barbarica

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Il «nuovo» che avanza un po’ fatica. «Sono giorni di passione e delusione e di rabbia e di umiliazione per essere stati considerati un partito di corrotti», urla Maroni (ma ancora di più urlano i sostenitori del «vecchio» che non ha intenzione di mollare): «Bossi-Bossi-Bossi». Potrebbe essere la catastrofe ma Maroni riprende subito il filo del discorso: «Umberto non si merita quello che è successo… chi sbaglia paga e senza guardare in faccia a nessuno». Ovazioni. E poi i soldi da restituire «fino all’ultimo centesimo». E l’amicizia di una vita: «Umberto Bossi non c’entra niente ma ha fatto un gesto di grandissima qualità … Bossi non è un pirla qualsiasi». Quanto a Rosy Mauro, è spacciata: «Non si è dimessa? Ci penserà  la Lega a dimetterla». Maroni dà  le regole: «I soldi alle sezioni e ai militanti, non in culonia» e poi «largo ai giovani». Ma, dice Maroni, «l’unità » è la cosa più importante. Per la battaglia finale: «L’indipendenza della padania». E «se Bossi si ricandiderà  segretario, io lo voterò». L’obiettivo è fissato, è il sogno: «Alle prossime elezioni vogliamo diventare il primo partito della Padania».
E’ presto per dire se si ricandiderà , il grande capo è malconcio ma ancora vivo. Bossi lancia un messaggio quasi pasquale: «Il Padreterno ci chiederà … quante volte sei stato capace di ripartire?», e poi farfuglia un imbarazzante discorso che non ha né capo né coda. «Dopo una serie di errori, non aspettano altro che vederci separati per colpirci, non è vero che Maroni è un traditore, bisogna smettere con le divisioni, così crea varchi al nemico, che è il centralismo romano». L’ex mattatore parla di persecuzione, si pente dei suoi figli in politica e poi perde il filo del ragionamento… qualcuno grida «libertà » per tirarlo su e allora parte una minaccia: «Vedrete, fra poco al centralismo romano arriverà  una mazzata…». Di tanto in tanto uno speaker chiede «un medico vicino al palco». Non è per Bossi, ma fa ugualmente impressione.
Nasce a Bergamo la diarchia assoluta. Una sceneggiata, naturalmente. Roberto Maroni è l’unico capo indiscusso del partito, ma forse il «popolo» non è ancora pronto per il passaggio delle consegne. Per cui c’è anche Umberto Bossi a mimare la nuova forma di potere. Chi vuole capire, chi insegue un pensiero cercando un certa linearità  è pregato di allontanarsi dal padiglione B della nuova fiera di Bergamo. Qui domina il gorgoglìo. Questa è la pancia, piaccia o non piaccia la Lega è l’unico partito ancora orgoglioso di averne una. La militanza è una fede. E quando c’è di mezzo la fede, la razionalità  non conta. Si può essere spietati e militonti contemporaneamente. I leghisti sono stati allevati con il culto del capo e ci mettono quattro giorni ad adorarne un altro. Migliaia di persone si prestano a far da comparsa a una sceneggiata senza nemmeno mettersi d’accordo con se stessi. Sono incazzati. Ma allegri. Ce l’hanno a morte con i vertici del partito ma Bossi (cioé il vertice) non si tocca.
I giovani padani sono pieni di entusiasmo. Ma sono dissociati. Hanno comprato le scope per fare pulizia, dicono «cerchisti fate l’ultima magia, sparite» e poi alzano un cartello che agli umani appare incomprensibile: «Noi barbari continuiamo a sognare con Umberto». Ma come! In psichiatria si direbbe un caso incurabile di schizofrenia. Ma a pensarci bene è sempre stato così. La Lega di lotta e di governo, non era solo uno slogan… i militanti ci hanno sempre creduto. Gli universitari «padani», per esempio, sembrano molto decisi. «Le nostre lauree sono vere, espulsioni subito». Sembra non ci sia scampo per Bossi & figli, e invece no: «Ma no… non ce l’abbiamo solo col Trota, sono solo quattro mele marce, non ci sentiamo traditi dal partito…». E c’è anche chi se la racconta utilizzando un argomento che qui è ancora convincente: «Quelli che hanno fatto danno sono tutti terroni, la moglie del Bossi, e quella Rosy Mauro lì», argomenta una signora di una certa età . Però, chiacchierando, non è difficile mettere i leghisti (un pochino) con le spalle al muro. Al di là  del celudorismo un po’ usurato, molti sanno che cosa sta succedendo. E allora si inalberano. E si raccontano un’altra leggenda. Le dimissioni della «family» sarebbe una lezione «per tutti quelli giù a Roma che sono lì da cento anni e adesso ci stanno rubando le pensioni». Almeno loro si sono dimessi.


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