La minaccia fantasma e il «problema» americano

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Eccoci di nuovo alla vigilia dell’Apocalisse. A partire da domani, per qualche giorno, il mondo dimenticherà  le tragedie reali per riscoprire la «minaccia» nordcoreana, con il volto paffuto del «trota» locale che osserva, sguardo all’insù, l’impeccabile (ci auguriamo) traiettoria di «stella polare», il satellite che, nelle speranze del regime e a questo punto del mondo intero, dovrebbe entrare in orbita per raccogliere e trasmettere preziose informazioni e, soprattutto, diffondere nello spazio, in occasione del centenario della sua nascita, le lodi all’eterno presidente e fondatore della patria, nonché eroe della resistenza antigiapponese, Kim Il Sung.
L’allarme di Tokyo
In Giappone, dove il governo Noda trascina la sua agonia solo grazie all’ennesimo doroteismo (con un partito che annuncia la sua uscita dalla maggioranza e i suoi due ministri che restano al governo come «indipendenti»), è già  emergenza nazionale. «Esclusivo, ecco il missile sulla rampa di lancio», spara lo Yomiuri, con una foto in prima pagina che sembra tratta da Google, piuttosto che dagli archivi segreti del Pentagono. «Il governo ha deciso: verrà  abbattuto qualsiasi oggetto volante non identificato», replica il quotidiano conservatore Sankei. Il teatrino dell’emergenza, della «grave provocazione» e della «minaccia incombente» insomma è cominciato e a trarne vantaggio, ancora una volta, sarà  il regime di Pyong Yang, che per annunciare al mondo – e assicurarsene l’attenzione – il centenario della nascita dell’eterno leader, stavolta ha fatto le cose proprio per bene. Rispettando le «regole» e, addirittura, invitando uno stuolo di giornalisti e di osservatori internazionali ad assistere allo «storico» lancio. Non di un missile, si badi, ma di un sofisticato (almeno sulla carta) satellite artificiale geostazionario. Roba da superpotenze industriali e tecnologiche: gli americani ne hanno 3, in orbita, Russia, Giappone, Europa, Cina, India e SudCorea uno ciascuno. Dal punto di vista formale, il regime si è comportato in modo impeccabile. Lo scorso 16 marzo (ma gli Stati uniti, come vedremo, erano stati avvertiti già  da tempo, e l’annuncio non aveva impedito alla Clinton e ai suoi «illuminati» strateghi di portare avanti la trattativa con Pyong Yang e firmare il nuovo accordo «distensivo» del 29 febbraio) la Repubblica Popolare Democratica di Corea ha annunciato al mondo, fornendo alle relative autorità  internazionali competenti tutti i particolari, l’intenzione di lanciare in orbita, tra le ore 7 e le 12 di un giorno tra il 12 e il 16 aprile, un satellite geostazionario per l’osservazione della superficie terrestre e la trasmissione di dati. Si chiama, come i suoi poco fortunati precedenti, Kwangmyongsong, stella polare. Nessun dubbio che si tratti di una «provocazione» – e come tale è stata subito denunciata dai governi e dai media del mondo intero, che l’hanno immediatamente trasformata in minaccia vera e concreta alla pace del mondo (sic) – ma che piaccia o meno, nulla di illegale. 
Pyong Yang segue le regole 
Al di là  dei titoli isterici e apocalittici che si leggono in questi giorni sui giornali Usa, giapponesi e australiani – meno, e ciò dovrebbe far riflettere su chi soffia sul fuoco e chi invece è costretto a respirare il fumo, su quelli sudcoreani – il regime di Pyong Yang ha pedissequamente seguito tutte le regole e le procedure richieste, informando con congruo anticipo tutte le autorità  interessate (Imo, Icao, Itu), illustrando nei minimi dettagli rotta, distacco programmato dei vari stadi e tipo di vettore e, novità  assoluta rispetto all’ultimo, disastroso, lancio del 2009, invitando esperti e osservatori internazionali e persino un folto gruppo di giornalisti ad assistere ad un lancio che, nell’attuale contesto, appare certamente più «celebrativo» che «minaccioso», se non per i poveri pesci che rischiano di vedersi precipitare addosso l’ennesima pioggia di detriti. Già , perché di satelliti meteo e di «osservazione» se ne lanciano continuamente e di tutti i tipi e non si vede perché, provandosi per un attimo a mettersi dalla parte del «diavolo», anche i nordcoreani non possano, a prescindere dalla imperscrutabile logica di un regime che non riesce a sfamare i propri cittadini ma che ha tempo, voglia e apparentemente risorse per perlustrare i cieli, togliersi la soddisfazione di celebrare la nascita del loro venerato leader con un evento che ne segnali, tra disastri e fallimenti, errori e catastrofi, anche le grandi capacità  tecnologiche raggiunte, in condizioni evidentemente proibitive e dunque ancor più rimarchevoli.
La capacità  di lanciare un satellite, di qualsiasi tipo esso sia (e quelli geostazionari, che «stazionano» a circa 38 mila chilometri di altezza, sono tra i più sofisticati) è un evidente segno di progresso tecnologico e di sviluppo economico. Certo, c’è anche l’aspetto militare. Per lanciarli, occorre disporre di vettori adeguati che nel caso dei satelliti geostazionari sono gli stessi utilizzati per i missili balistici. Cambia solo la traiettoria e il carico. Ma questo vale per tutti i paesi che lanciano i satelliti. La Corea del Nord, forse pochi lo sanno, ha firmato il Trattato per la Ricerca Spaziale (Ost, 1966) nel 2009, fornendo tutte le garanzie finora non violando alcuna regola, quantomeno formalmente. Tant’è che nel 2009, quando effettuò l’ultimo, disastroso tentativo, al di là  delle condanne politiche e mediatiche, nessuna autorità  internazionale, Onu compresa, riuscì a sanzionarne l’azione. E tanto meno questa volta. Con la Cina, più che gli Stati uniti (avvertiti del lancio con congruo anticipo, pare sin dallo scorso 15 dicembre, un paio di giorni prima della scomparsa di Kim Jong Il) infastidita non tanto per la sostanza, quanto per il «rumore» e la tensione internazionale che ne deriverà .
La piroetta Usa
Curiosa, semmai, e giustificabile solo dall’evidente, l’annunciata soccombenza del Dipartimento di Stato americano rispetto ai falchi del Pentagono (che hanno fatto già  chiaramente capire che non gradiranno una riconferma di Hillary Clinton e dei suoi «illuminati» strateghi) è la «piroetta» degli Stati uniti. Che nonostante avessero saputo con largo anticipo la questione del lancio, il 29 febbraio a Pechino, firmano un nuovo, importante accordo con Pyong Yang, frutto della recente, rivelatasi per ora molto più efficace, strategia di positive engagement inaugurata dal Dipartimento di Stato Usa e impersonata dall’ex musicista armeno e attuale sottosegretario per l’Estremo Oriente Kurt Campbell, inviso ai militari ma al cui ostinato e discreto impegno si devono i recenti, importanti passi avanti ottenuti sia con la Birmania che con la stessa Corea del Nord. L’accordo del 29 febbraio è un accordo importante (forse più di quello a lungo negoziato con il tavolo a sei), raggiunto direttamente – come da lungo tempo auspicato da Pyong Yang – dai due veri protagonisti di un conflitto ancora in corso, e che prevede, a fronte del nuovo, verificabile disimpegno nucleare della Corea, aiuti alimentari per 240 mila tonnellate da parte degli Stati uniti. Il tutto, anche se questa parte fondamentale dell’accordo (come è spesso successo in passato) non viene citata, riconoscendo, da parte degli Stati uniti, l’assenza di ogni «intento ostile» e anzi la volontà  di migliorare le relazioni bilaterali «nel rispetto della reciproca sovranità  e pari dignità ». Chi segue con genuino interesse, continuità  e onestà  intellettuale le vicende della penisola coreana, sa quanto queste tre parole, «rispetto», «sovranità », «pari dignità » siano importanti per la Corea del Nord e quanta fatica sia costata, ai vari negoziatori che si sono succeduti ai vari tavoli, riuscire a farle inserire negli accordi ufficiali. Non per niente, nell’accordo del 29 febbraio le due parti citano espressamente l’altrettanto «storico» accordo del 19 settembre 2005, quello che aveva fatto sperare il mondo intero che dopo oltre 50 anni di tensione, l’iniquo e «temporaneo» armistizio del 1953 potesse essere presto trasformato in un trattato prima di pace, poi magari persino di «amicizia e cooperazione». Un accordo, quello del 2005, che prevedeva anche un impegno preciso per il Giappone di avviare colloqui di pace che prevedessero scuse formali e adeguati risarcimenti per gli anni dell’occupazione. Come ben sappiamo, tutto questo è rimasto lettera morta, e mentre, come abbiamo ricordato poco fa, dagli Stati uniti emergono segnali quanto meno contraddittori, destinati ad aumentare nel corso della campagna elettorale, il Giappone non sembra assolutamente intenzionato ad abbandonare la sua cieca politica di intransigente rifiuto a riconoscere le proprie responsabilità . Andando, tra l’altro, contro i suoi stessi interessi economici, perché è evidente a tutti che tra i maggiori beneficiari della «normalizzazione» nella penisola a trarne maggiore e immediato vantaggio sarebbero le imprese e l’economia giapponese. A prescindere da quello che succederà  nei prossimi giorni – e di opzioni ce ne sono molte, escludendo forse quella di una rinuncia, da parte di Pyong Yang, a effettuare il lancio, opzione che a questo punto le farebbe perdere la faccia e provocherebbe tensioni interne al regime – forse sarebbe bene che il mondo – e i media – si interrogassero se, oltre e al di là  del «problema» nordcoreano (paese che, ricordiamolo, non ha mai aggredito, invaso, minacciato di bombardamento nucleare altri paesi) non sia il caso di affrontare anche il «problema» americano, con i suoi 5 mila ordigni nucleari che gironzolano nel Pacifico, a rischio quotidiano anche di semplice «incidente» e, globalmente meno rilevante ma regionalmente molto «sentito» dai giapponesi. 
La Stella polare 
Nel frattempo, auguriamoci, per il bene di tutti (ma soprattutto del popolo coreano, che francamente se lo merita) che il lancio di Stella polare sia coronato da successo, che i suoi detriti non cadano sul territorio di altri paesi e che a nessuno venga in mente, se non in presenza di reale e concreta «minaccia», di tirarlo giù. E se poi il satellite nordcoreano, tra tanti altri, orbiti tranquillamente attorno alla terra e tra una trasmissione e l’altra diffonda nello spazio gli inni gioiosi alla memoria di Kim Il Sung e Kim Jong Il, che male c’è? 3 
TENTATIVO Il satellite Kwangmyongsong1 venne messo in orbita con enfasi il 31 agosto del 1998, ma della riuscita del lancio non si ebbero prove. Il numero 2 è stato lanciato nell’aprile 2009, Usa e SudCorea hanno sempre dubitato


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