La Jihad con il portafogli
Così come è noto che, ora come in passato e in forme più o meno dirette, ricevono denaro da Paesi che hanno interesse a giocare il Great game afghano. Nemmeno la raccolta fondi tra le comunità pashtun dell’area tribale pachistana e tra facoltosi simpatizzanti o gruppi di pressione a Karachi o Peshawar è una novità : del resto il loro movimento nacque, oltre che con il sostegno di Islamabad, coi quattrini delle compagnie di trasporto pachistano, stufe di pagare il pizzo ai mujaheddin anti sovietici. Ma che abbiano messo in piedi una vera e propria “Commissione finanziaria” incaricata di fare fund raising e che sia addirittura possibile per il comune cittadino avervi accesso via internet o col cellulare, questo è davvero un salto nella modernità . Con gli stessi strumenti che usano le Ong per chiedere solidarietà in caso di emergenza.
Da alcuni giorni sul sito dell’Emirato islamico dell’Afghanistan (http://shahamat.com) appare in bella mostra, più che un richiamo alla Jihad o alla preghiera, una richiesta di mettere mano al portamonete. E c’è un indirizzo telematico e un paio di numeri di cellulare per aggiungere la propria decima alla colletta tra credenti.
I talebani giustificano la richiesta di fondi non solo come contributo alla lotta contro l’invasore occupante (una dimostrazione del carattere nazionalista che si è dato il movimento), ma anche come mezzo per conquistarsi meriti nell’aldilà , se l’età o la contingenza non permettono di prendere le armi. Dice il profeta, commentando l’invito a versare fondi, che «…chi muore ma non combatte sulla via di Allah o non esprime alcun desiderio o determinazione verso il Jihad, muore da ipocrita». La conclusione è che chi non può combattere può esprimere lo stesso il suo appoggio alla lotta versando denaro. Segue mail e numeri di telefono.
Le Nazioni unite hanno stimato tra i 100 e i 200 milioni di dollari i proventi che la guerriglia intasca annualmente dal traffico di stupefacenti ma non è il solo finanziamento che i talebani si procurano: un dossier del Congresso americano ha stimato che «almeno il 10% di ciò che il Pentagono spende in contratti logistici (per far transitare i camion nelle aree di conflitto fino alle basi militari statunitensi ndr) consista in pagamenti agli insorti». Un giro da oltre 2 miliardi di dollari l’anno che fornirebbe un gettito di altri 200 milioni.
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