La Germania frena

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Dietrofront, si cambia strategia industriale. La Germania seppellisce l’ansia dell’alta velocità  sempre più veloce. Il motivo? In linea con i tempi di crisi e, per una volta, anche con la normale ragione: «costa troppo».
Intanto, i fatti. Con un’intervista al Wirtschafswoche il presidente delle ferrovie tedesche, Rudiger Grube, ha annunciato che la prossima generazione di treni Av – appena ordinata alla Siemens – non dovrà  cercare di battere il record dei 300 chilometri orari, puntando verso i 350-360 (come dice ancora oggi il suo equivalente italiano, Mauro Moretti). Ci si accontenterà  dei 230-250, che «per le necessità  della Germania sono più che sufficienti».
Ma come? La Germania che è la locomotiva d’Europa, quella che corre più di tutti e ha anche la fortuna di avere un territorio in gran parte pianeggiante? Sì. E la spiegazione non fa una piega.
Partiamo dal guadagno di tempo derivante dalla maggiore velocità . Correre a 250 o a 350 kmh richiede linee (binari, cavi elettrici, traversine, ecc) parecchio differenti. Cambiare tutta la rete a «velocità  alta ma non troppo» per renderla adatta a un missile ha costi proibitivi. Specie in una situazione di crisi conclamata. Il «guadagno», invece, sono pochi minuti.
Non basta. Sia il materiale fisso (la rete) che quello «rotabile» (locomotive, vagoni, ecc) – a velocità  estreme – soffrono molto di più. La tolleranza dei materiali è insomma limitata, così come quella degli uomini. Ci sono più rotture, una manutenzione più frequente, pezzi di ricambio inevitabilmente più costosi. Ma che durano assai meno per il maggiore logorio.
Poi ci sono le ragioni di traffico. Treni che viaggiano come missili, in un modo che non è affatto un sistema missilistico, non sopportano i tempi morti, le coincidenze mancate, le normali disfunzioni di qualsiasi sistema elettromeccanico complesso. La perfezione degli scambi e le sincronie senza perdite, insomma, si verificano forse solo a livello software (e nemmeno sempre, come sa chiunque usi un device qualsiasi). Quindi la velocità  minore consente di ridurre le «perturbazioni del traffico»; alla fin fine conviene anche economicamente. L’alta «affidabilità » batte sicuramente l’alta velocità  asincrona rispetto al resto del «sistema».
E quindi Deutsche Bahn – lo scorso anno – ha rovesciato la linea strategica imposta dal precedente presidente («correre, correre»), e ha ordinato 220 treni Ice (l’equivalente tedesco dei Tgv francesi e degli Etr italiani) che nel 2020 dovranno sostituire quelli attualmente in servizio. Una commessa colossale, da miliardi di euro, che farà  diventare la circolazione ferroviaria tedesca ancora più «competitiva»… riducendo la velocità .
Qui da noi siamo invece all’assurdo di aver dichiarato una valle «zona di interesse strategico-militare» pur di farci passare una linea Tav che, a regime, sarà  inutilizzata o quasi perché il traffico su quella direttrice ha almeno due ottime alternative. Che comportano un percorso di qualche minuto in più, ma chissene… dicono in Germania.
Trenitalia ha appena commisionato a Bombardier (francese) e Ansaldo Breda una nuova serie di mostri capaci di raggiungere il 360 orari. Anche in Confindustria, a quanto trapela dal quotidiano aziendale, si sono cominciati a fare due conti.
Quanti sono i tratti di ferrovia esistenti su cui i treni possono davvero andare a 300 kmh (non a 360…)? Soltanto due. Tra Tavazzano (Lodi) e Modena e tra Roma e Napoli. In totale: 350 chilometri. Sulla Roma-Firenze – una Tav d’altri tempi, con materiali d’epoca – si può andare «solo» a 250. Quindi, volendo proprio sparare la massima velocità  là  dove si può, si avrebbe un «guadagno» di tempo – sulla tratta principale e più redditizia, l’unica che interessi davvero a Mauro Moretti – di appena 5-10 minuti. Un tempo economicamente irrilevante; tra l’altro «guadagnabile» con semplici corsie preferenziali ottimizzate nei pressi delle stazioni.
Sembra l’uovo di Colombo. È normale fisica. Ma chi glielo spiega a chi guadagna costruendo Tav?


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