La fuga di Formigoni

by Sergio Segio | 26 Aprile 2012 6:02

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Sarebbe stato sufficiente esibire la copia di un estratto conto, che confermasse con assoluta certezza la falsità  di ciò che invece si sospetta, e cioè che l’amico Pierangelo Daccò, faccendiere in combutta con le aziende sanitarie appaltatrici della Regione Lombardia, gli ha pagato le vacanze a cinque stelle ad Anguilla per tre capodanni consecutivi. E invece il Celeste non l’ha fatto. Perché non vuole, o più verosimilmente perché non può farlo.
Il “governatore di Dio” non solo non ha risposto ad alcuna delle tante domande ancora inevase, che gettano un’ombra sulla sua persona e proiettano una luce sinistra su un Pirellone già  oscurato dagli scandali. Si è rimangiato anche quelle poche, e ancora contraddittorie “ammissioni” che gli erano sfuggite finora. Di fronte alle domande di Repubblica, ha eretto un muro di gomma, impastato di arroganza, fantascienza e reticenza.
È arroganza, per un uomo politico obbligato a “rendere conto” ai suoi elettori, rispondere «chi le da l’autorità  di rivolgermi domande sulla mia vita privata?» al giornalista che gli chiede dove e con chi abbia trascorso i capodanni 2008, 2009 e 2010. La stessa arroganza dimostrata nel definire «sfigato» il cronista del Corriere della Sera che ha scritto di quelle sue vacanze sospette. Nell’attaccare in conferenza stampa una cronista di Repubblica, “colpevole” di avergli chiesto chiarimenti su quei «viaggi di gruppo». E infine nello sfilare a un’altra cronista il microfono, per darle «una lezione di giornalismo».
È fantascienza svicolare dalle domande sulla sua “Vacanzopoli” sostenendo che l’intera vicenda è solo «fango mediatico», dietro al quale si nascondono «interessi materiali ed economico-finanziari che vogliono che nell’Italietta non ci siano pIù impedimenti di tipo democratico», e «grandi poteri che pensano di dividersi il Paese a loro piacimento». La solita teoria del complotto, alla quale l’anomala destra italiana di questi ultimi vent’anni ricorre sempre quando non sa come uscire dai suoi incubi. Se è davvero convinto di quello che dice, Formigoni abbia il coraggio di chiamare per nome e cognome «gli interessi economico-finanziari» e i «grandi poteri» che avrebbero deciso di ordire questo «complotto».
È reticenza, infine, non dire nulla sul merito dei racconti riferiti ai pm da Giancarlo Grenci, perché si tratta di «un millantatore che sparge veleno dal carcere», mentre il fiduciario svizzero di Daccò non è in carcere ma è solo indagato, e non ha raccontato bugie ma ha esibito documenti inoppugnabili. È reticenza, soprattutto, ripetere che non intende esibire alcun documento bancario utile a chiudere in un minuto questa Anguilla-connection «perché la Procura non mi contesta nulla».
Dunque, anche Formigoni applica il “modulo” collaudato dal suo ex leader Berlusconi. Finge di non vedere la gigantesca valenza “politica” del caso che lo riguarda, a prescindere dalla sua eventuale rilevanza penale. Non dissipa i dubbi, perché non è in grado di farlo, ma attacca la libera stampa che su quei dubbi lo incalza, com’è giusto in qualsiasi democrazia occidentale. Urla alla “macchina del fango”, e gli scaglia contro la “macchina della rimozione”. Si appella al popolo sovrano, che lo ha votato, ed è convinto che questo “lavacro” basti a mondarlo da tutto: peccati o reati, azioni od omissioni. Un dispositivo simile a quello dell’Unto del Signore. O del “chierico” di Hegel, che si trasforma in burocrate e per questo è strutturalmente esposto alla tentazione dell’abuso di potere, e all’uso della propria carica per i suoi scopi personali.
Il governatore Celeste è un uomo in fuga. Può continuare a fuggire dalle sue responsabilità . Ma il caso politico che lo riguarda è sotto gli occhi di tutti, e lo insegue ovunque. Lui stesso, da due settimane, quasi non parla d’altro, risucchiato in una spirale di nervosismo crescente. Parla, ma non dice. Per questo, continueremo a rivolgergli la domanda cruciale: signor presidente, perché non vuole o non è in grado di esibire la distinta bancaria dalla quale risulta che lei ha effettivamente rimborsato a Daccò le spese relative ai capodanni 2008, 2009 e 2010?

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