by Editore | 10 Aprile 2012 6:51
Se la personalità dei candidati contasse, sul serio, come molti credono, più del loro programma, Marine Le Pen avrebbe più probabilità di quelle attribuitele. Ma non è così e lei non sarà eletta settimo presidente della Quinta repubblica. La Francia e l’Europa sono ben lontane dal correre quel pericolo. Non conosceranno la sciagura di vedere l’estrema destra xenofoba installata nel parigino Palazzo dell’Eliseo. Non pochi elettori, circa quindici su cento, si ripromettono di votare per Marine Le Pen, il 22 aprile, al primo turno delle presidenziali. Il patrimonio di consensi virtuali della candidata del Front National è dunque consistente, ma insufficiente, nonostante l’inevitabile margine d’errore delle indagini d’opinione, anche per accedere al secondo e definitivo turno del 6 maggio.
Dieci anni fa, nel 2002, però è accaduto proprio questo. Il candidato della sinistra, il primo ministro socialista Lionel Jospin, fu superato da Jean-Marie Le Pen, il padre di Marine, ed escluso dalla gara finale. Il vecchio Le Pen affrontò al ballottaggio Jacques Chirac, il campione della destra repubblicana. Era scontato che venisse sconfitto e infatti Chirac fu ampiamente riconfermato alla presidenza. Per la sinistra fu una pagina tragica. Fu umiliante essere messa fuori gioco dal leader xenofobo e assistere al confronto tra due destre, quella democratica e quella estrema. La sinistra votò, “turandosi il naso”, per quello che doveva essere il suo naturale avversario.
Marine Le Pen vorrebbe ripetere l’impresa paterna. Lo spera e lo dice. Ma il fattaccio non dovrebbe ripetersi nel 2012. Al contrario di dieci anni or sono, la sia pur imprecisa, fallace matematica dei sondaggi lo esclude. Franà§ois Hollande, il campione socialista, quasi alla pari col rivale Nicolas Sarkozy, raccoglie in queste ore poco meno del doppio dei consensi di Marine Le Pen. Lo stacco appare incolmabile. Anche se i Le Pen, padre e figlia, non si danno mai per vinti. Sanno subire il ripudio ideologico che sbarra loro la strada al potere; ma sono anche convinti di interpretare i sentimenti nascosti di tanti loro connazionali. E questo, almeno per loro, lascia uno spiraglio alle sorprese.
L’influenza della candidata del Front National sulla campagna elettorale è in effetti più forte di quello che annunciano le cifre. Aggiustati, adeguati ai principi a cui si ispirano i candidati di estrema sinistra, della sinistra socialdemocratica, della destra liberale, ripuliti dalle scorie razziste e dal populismo sfrenato, gli slogan di Marine Le Pen sono reperibili in forma più o meno edulcorata in molti dei discorsi, negli innumerevoli comizi che si tengono in tutti gli angoli di Francia, a dodici giorni dal primo voto. I candidati, quasi tutti, danno insomma l’impressione di riciclare quegli slogan, come si fa quando si rimette in circolazione il denaro sporco. Essi sono efficaci, colpiscono il ventre della società , arrivano alle trippe, ma perché vengano accettati dai cervelli democratici hanno bisogno di una revisione.
Ma che sacrée femme! mi vien appunto voglia di dire mentre ascolto Marine Le Pen nel grande anfiteatro della Cité internationale di Lione, in cui i giovani, tra i quali non pochi operai, sono forse più numerosi dei pensionati e degli appartenenti alle classi medio basse ancora attivi nel piccolo commercio, nelle piccole e medie imprese, e probabilmente anche negli uffici pubblici. È un bel campionario della Francia ossessionata dalla mondializzazione, dall’euro e dall’Europa che spalanca le frontiere agli immigrati. Vale a dire all’Islam. Mi colpisce la presenza dei giovani. Stando a un sondaggio del Csa, apparso su Le Monde, Marine Le Pen è la candidata più popolare tra gli elettori da 18 a 24 anni. Più di uno su quattro, il 26 per cento, preferisce lei a Franà§ois Hollande, 25 per cento, al candidato del Front de Gauche (la sinistra della sinistra) Jean-Luc Mélenchon, 18 per cento, e a Nicolas Sarkozy, 17 per cento.
La voce ha accenti maschili, ma non troppo. Marine Le Pen è stata un buon avvocato, sa dosare i toni. E usare gli argomenti. Il padre aveva grinta, era un tribuno capace di intrattenere ed esaltare il suo pubblico. Ma era pesante. Era insultante, provocatore, antisemita. Marine, con il benevolo disappunto del padre, evita quegli eccessi. E’ persino andata in Israele a cercare invano appoggi. L’anti-islamismo, sul quale contava, non le è servito. Lei si presenta adesso come la «candidata della rivolta popolare». La sola. L’unica. Lo dice e lo ripete alla folla che la vorrebbe presidente subito. Denuncia cifre agghiaccianti: cinque milioni di disoccupati, otto milioni di poveri. Denuncia l’Europa che in trent’anni ha aggravato la situazione. Denuncia anche l’industria del lusso, prova dell’abisso tra ricchi e poveri. Perché, ad esempio, non tassare come gli altri beni le opere d’arte riservate agli investimenti delle classi privilegiate? Perché moltiplicare le grandi aree commerciali che uccidono i piccoli negozi? In quanto all’euro è stata una farsa devastante. È lo strumento dei mercati finanziari, delle banche, è anche all’origine del debito pubblico. Si guardi la povera Spagna, che fabbrica duecentomila disoccupati al mese, vittima com’è dell’euro, dell’Europa. L’euro? Va abolito. E’ la moneta del «fascismo dorato» dei ricchi e delle banche. E che dire di Sarkozy il quale disperde nel mondo soldati francesi per favorire i fondamentalisti islamici ansiosi di imporre la sharia. Sempre Sarkozy paga l’assistenza medica agli immigrati clandestini: quelli che violentano, che rubano, che saccheggiano. L’anfiteatro esplode ad ogni frase.
Ascoltandola, penso appunto: «Che donna!». Non è un esclamativo d’ammirazione. Non sono affascinato dalla persona, la quale non ha per la verità , nell’aspetto, la pesantezza delle parole che riversa sulla folla. Colpisce la passione e il modo in cui la manifesta. E’ una passionaria borghese e populista. E’ una “sciura” che ce l’ha coi suoi e coi poveracci, gli immigrati. Curioso miscuglio. La dizione attenua la grintosità del discorso. Che del resto è scucito. Frammentario. Un rosario di slogan, che sono per lo più battute. A volte sberleffi. Uno psichiatra, Boris Cyrulnik, identifica in lei «un carattere tipo Zorro». È diventata un’abitudine sottoporre a sommarie analisi i candidati. Il principio è appunto che la personalità conta per l’elettore più o quanto le promesse enfatizzate e i programmi generosi e non sempre credibili. La civiltà delle immagini appanna le idee.
Marine Le Pen – 44 anni; professione avvocato prima di dedicarsi al partito; due matrimoni seguiti da divorzi con militanti del Front National; tre figli; un rapporto dichiarato sempre con un dirigente (un marcantonio) del FN – è per lo psichiatra già citato una persona con un’attività psichica inconscia sfaldata, come capita spesso a chi ha subito forti traumi. Da un lato è espansiva, in apparenza gioviale, e questo le permette di lasciare nell’ombra l’altro lato, quello doloroso e muto. Nella famiglia Le Pen non si piange. Quando si soffre si fa festa. Marine ha seguito l’agitata vita del padre. Bambina è stata svegliata dall’esplosione di una bomba destinata al padre; poi l’abbandono della madre; da ragazza, da studente, ha via via sentito il peso del cognome che porta; si è sentita solidale col padre «escluso», «perseguitato» ai suoi occhi per le idee che difendeva; al tempo stesso è sempre stata un’assidua frequentatrice di locali dove si balla e per questo chiamata la «night-clubbeuse»; un’altra passione sono le sfilate del 14 luglio, la festa nazionale, con gli annessi inni militari. Che conosce a memoria e sa cantare.
Nell’elezione presidenziale Marine Le Pen ha un ruolo rilevante perché, pur non potendo pretendere al titolo, i voti che riuscirà a raccogliere peseranno sul risultato. Anzitutto ruba consensi a Nicolas Sarkozy, che è il gran riciclatore dei suoi slogan. Lei cerca di recuperare quelli che appartenevano al Front National, e che cinque anni fa hanno contribuito all’elezione del presidente oggi candidato alla propria rielezione. Sarkozy ha deluso e quindi dovrebbe subirne le conseguenze. Questo è il provvisorio verdetto dei sondaggi. I quali al primo turno attribuiscono alla sinistra (sommando i voti del candidato socialista, del candidato dell’estrema sinistra e della candidata dei Verdi, Eva Joly) il 45-46 per cento e forse più. Aggiungendo il riporto dei voti centristi e quelli popolari del Front National, Franà§ois Hollande dovrebbe essere eletto il 6 maggio. Questo è l’effimero, virtuale, risultato a dodici giorni dal primo turno, e a ventisei dal secondo e definitivo.
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