La fabbrica siriana delle news

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Alla narrazione sulla violenza che insanguina il Paese da parte mezzi d’informazione internazionali Martin Hatchoun, inviato cubano di Prensa Latina, in Siria da sei mesi, non crede. Come non ci credono le due organizzazioni internazionali, il World Peace Council e la World Federation of Democratic Youth (Wfdy), che nei giorni scorsi hanno visitato la Siria su invito dell’Unione nazionale degli studenti (Nuss), con 29 delegati proveniennti da 24 paesi (Cuba, Venezuela, Sudafrica, India, Nepal, Russia, Belgio, Italia, ecc.). Martin Hatchoun racconta alcuni episodi che danno l’idea della grande confusione. Anche terminologica: «Gli oppositori sono sempre chiamati attivisti per i diritti; e anche se sono armatissimi, sono sempre messi nella categoria dei civili». Le bugie che circolano sono di tutti i tipi e contano sul fatto che una volta dette, rimangono depositate ed è difficile smentirle. «Nel quartiere Mezzeh nel quale abitavo – racconta Hatchoun un’operazione molto precisa delle forze di polizia contro un appartamento che ospitava cellule armate e che è stato l’unico danneggiato dalle sparatorie, è diventata sui media internazionali – primo lancio Reuters – una manifestazione repressa nel sangue. Per massacri come quello di Karm Zeitoun a Homs è stata attribuita la responsabilità  all’esercito, ma la notizia che questo in realtà  era falso non è mai circolata». Oppure – prosegue il giornalista – « Al Jazeera intervista un “osservatore dell’Onu” il quale spiega della grande crudeltà  del regime. Ma se la stessa Lega Araba smentisce il ruolo dell’uomo, chi se ne accorge?». Bugie di tutti i tipi Un caso che ha colpito molto i media è stato quello della piccola Afef, di pochi mesi soltanto: secondo l’opposizione e molti mezzi d’informazione era morta in carcere per le torture. «Solo che la madre, di Homs, ha spiegato pubblicamente che la bambina era in ospedale ed è morta di malattia e ha mostrato il certificato medico». Un altro caso è stato quello di Suri, otto anni: piccola vittima dei miliziani di Assad con scandalo internazionale annesso? Così pareva, «invece la madre nel video urlava disperata che se lì ci fosse stato l’esercito il bambino forse sarebbe ancora vivo». Hatchoun cita ancora le foto dell’Afghanistan spacciate per siriane, il video dei maltrattamenti di presunti prigionieri, che in realtà  si riferiva al Libano del 2008. E il giorno del referendum, «che io ho visto svolgersi tranquillamente – dice – e invece il canale della Bbc per il mondo latino parlava – come se fosse stata qui – di bombardamenti dell’esercito con morti. Un siriano – aggiunge – che all’inizio della crisi stava con l’opposizione, quando è scappato in Turchia si è trovato di fronte a una specie di fabbrica del falso approntata nel Centro per i media; tornato in Siria ha raccontato tutto». Non per niente, ricorda Hatchoun, «un giorno una suora ha pensato che fossi un giornalista occidentale come gli altri, in visita dopo un attentato a Sidnaya, e mi ha detto dura: “però devi scrivere la verità “».


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