La casbah dei tarocchi tra Scorsese e Canà 

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Proteso sul predellino del pullman biancorosso, tentava di placare un infuriato Luciano Gaucci dopo un Perugia-Bari piuttosto controverso di parecchi anni fa. «Vaffanculo te e tuo fratello. Li mortacci tua», la pacata reazione dell’imprenditore capitolino. Anch’esso, come il suo antagonista, un perfetto suino orwelliano. Il fratello a cui si riferiva il buon Luciano era Tonino Matarrese, presidente della Federcalcio e successivamente della lega. Una dinasty andriese molto radicata a Bari, una famiglia tentacolare di democristiani ben pasciuti e immarcescibili, dediti da decenni al culto bizantino del potere. Edificatori di ecomostri plateali, come il celeberrimo complesso di Punta Perotti. 
Da anni proprietari del Bari, perennemente contestati per le campagne acquisti fallimentari. In uno stadio avvenristico, progettato per i mondiali italiani del ’90. Un fiore di cemento, una pianta carnivora a petali spiegati, che inghiottì nelle sue spire miliardi a grappoli. Disegnato dalla più glamour delle archistar, Renzo Piano. Palcoscenico, negli ultimi ventidue anni, di meste oscillazioni tra la serie A e la serie B di una squadra, che durante la gestione Matarrese, non ha mai regalato l’approdo in Europa alla sua tifoseria. L’ultima stagione sembrava quella buona. Il Bari cominciò battendo in scioltezza la Juventus. Poi, il vertiginoso tracollo. Al punto che Andrea Masiello, ex promessa del calcio italiano, finisce col vendere a trecentomila euro il derby con l’odiato Lecce. Lo hanno arrestato domenica notte e finalmente ha smesso di fare la vittima. Ha ammesso la sua fredda lucidità . Per essere sicuro di intascare il lauto compenso, si è reso protagonista di una goffa autorete, utile a fissare il punteggio sul definitivo due a zero. 
Pare che anche alcuni capi ultras abbiano accantonato defintivamente l’amore per i propri colori. Lo ha raccontato Francois Gilet, il portiere belga, per anni celebrato capitano della squadra biancorossa. «Avete fatto questo campionato di merda, siete ultimi, non vi abbiamo mai dato mazzate, domani dovete perdere anche col Cesena», la lucida disamina dei capi-tifosi in questione. Una sorta di redistribuzione del reddito, attraverso le scommesse clandestine. Gilet si rifiutò nonostante le minacce. Ma col Cesena, il Bari perse lo stesso. 
L’analisi del giudice è inquietante: alcuni giocatori vendevano le partite che disputavano anche contemporanemante, su più tavoli, sia per gli zingari senza scrupoli, sia che si trattasse di allibratori, maneggioni e ristoratori locali, tutti intimi dei giocatori. Davanti ad una stagione irrimediabilmente compromessa, si profilava il rischio di non vedersi più elargire gli stipendi da parte di una società  in crisi. Dopo la retrocessione delle quotazioni di mercato calcistico le quotazioni dei calciatori erano in intuibile ribasso. I giocatori, Masiello e non solo lui, avrebbero fatto di necessita virtù, secondo il Bignami del Principe machiavellico. Sullo sfondo una Bari casbatica e multiforme, popolata da sosia di Oronzo Canà  in combutta con Goodfellas scorsesiani, sempre sospesa tra orrore e folklore. Tra sindaci che accettano tonnellate di pesce crudo, omaggio di loschi e potenti palazzinari locali. Salvo poi stupirsi dello scandalo, dichiarandosi troppo ingenui. Americani dal nome evocativo, che arrivano per comprare il Bari e trasformarlo in Luna Park (il tipo si chiamava Tim Barton, quasi come il re americano del cinema gotico). Ma poi spariscono nel nulla, lasciando tutti con un palmo di naso. Una città  in cui alcune prostitute d’alto bordo fanno acclamati e definitivi discorsi teorici sull’inevitabilità  del darwinismo sociale. 
Hristiyan Ilievski, capo dei famigerati Zingari, re internazionali dell scommesse, è rimasto stregato da Bari. «Si mangia bene – ha raccontato tempo fa a Repubblica dalla sua dorata latitanza – adoro il pesce crudo, quelle ottime piccole seppie chiamate allievi. E poi io compro informazioni dai giocatori infedeli. E a Bari ce n’erano un po’. A cominciare dal quel Masiello, che sapeva bene quello che faceva. Ma non siamo noi che abbiamo in mano il sistema. A Bari ci sono già  i delinquenti locali, che la vorano molto bene. E poi ci sono gli albanesi, quelli che hanno portato in Italia il business delle scommesse. Noi ci siamo solo accodati».


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