La battaglia dei brevetti tra i colossi d’America

by Editore | 10 Aprile 2012 7:16

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NEW YORK – L’hanno chiamata “escalation di armamenti”, oppure “la nuova febbre dell’oro”. È l’ultima ossessione dell’industria hi-tech: fare incetta di brevetti e copyright, accumulare “proprietà  intellettuale”. Il colpo grosso l’ha fatto ieri Microsoft, che ha comprato 800 brevetti. Più l’opzione di condividerne altri 300 da Aol, quella che alle origini era stata la regina dell’e-mail. Prezzo: 1,1 miliardi di dollari, un affare record. Mai nella storia era avvenuta in una botta sola una simile vendita “all’ingrosso” di brevetti. E tuttavia operazioni simili si sono verificate di recente sotto altre forme: è fondamentalmente per mettere le mani sui brevetti nel settore dei telefonini che Google l’anno scorso comprò Motorola per 12,5 miliardi di dollari; Facebook da parte sua ha firmato l’acquisto di 750 brevetti Ibm e proprio ieri ha sborsato un miliardo per comprare Instagram (tecnologie di photo sharing); un consorzio di colossi hi-tech della West Coast (inclusa la stessa Microsoft) si è spartito per 4,5 miliardi il bottino di brevetti messi in liquidazione dalla Nortel (telecom) in bancarotta. Un altro nome storico dell’industria americana, la Eastman Kodak che fu pioniera nella fotografia, nella sua liquidazione fallimentare ha scoperto di possedere a sua volta una miniera d’oro, 1.100 brevetti legati alle tecnologie dell’immagine digitale che possono valere 2,6 miliardi. Lo stesso tipo di vendita potrebbe sigillare il capitolo finale della storia di Rim (Research in Motion), la società  del Blackberry. 
La “proprietà  intellettuale” è diventata la materia prima più ambita, il petrolio della Silicon Valley. I nuovi protagonisti del settore, quelli che hanno il vento in poppa e le spalle finanziarie più larghe, fanno incetta dei fondi di magazzino posseduti dai progenitori ormai sulla via del declino. L’escalation di queste acquisizioni è anche il frutto di due evoluzioni un po’ perverse. Da una parte, la smania di privatizzare ogni idea, ogni invenzione, o anche delle variazioni infinitesimali su invenzioni e applicazioni già  esistenti: del trend fu protagonista a suo tempo Steve Jobs che aveva un’attenzione maniacale a brevettare tutto, perfino gli imballaggi di cartone dei suoi prodotti. D’altra parte, come conseguenza di questa privatizzazione a oltranza della creatività , si è inasprita a dismisura la conflittualità  legale tra i colossi del settore, che al minimo sospetto di plagio, spionaggio industriale o pirateria si trascinano l’un l’altro in tribunale con processi dai costi elevati. Apple, Samsung, Facebook e Yahoo sono attualmente impelagate in cause giudiziarie che spaziano dalle tecnologie degli smartphone a quelle dei siti sociali. Di qui l’importanza strategica della “corsa agli armamenti”: chi riesce ad accaparrare gli arsenali più abbondanti di brevetti, ha maggiori chance di annientare o paralizzare l’avversario in questa nuova forma di guerra. Mentre i soggetti più deboli colgono l’occasione per vendere tutte le giacenze di magazzino a prezzi folli: nel caso di Aol, il compenso di 1,1 miliardi strappato a Microsoft è il triplo della valutazione di mercato. 
Ma cosa c’è dentro quei brevetti? Sempre per quanto riguarda Aol, hanno a che fare con l’uso delle e-mail e la navigazione su Internet: delle invenzioni relative alla messaggeria istantanea, ai motori di ricerca, al design delle pagine Internet, alla compressione e trasmissione di immagini e musica online, alla “condivisione” (sharing) di contenuti multimediali. La ricchezza di proprietà  intellettuale nascosta nei magazzini di Aol risale all’epoca d’oro, fine anni Novanta, in cui quest’azienda si declinava ancora col suo nome per esteso – America On Line – ed ebbe un (breve) semi-monopolio agli esordi di Internet perché portò la posta elettronica nella case di decine di milioni di americani. Le e-mail venivano inviate “componendo” un numero telefonico da una linea fissa numerica; era la preistoria, la prima fase della new economy, un decennio prima che la comunicazione digitale venisse dominata di volta in volta da Google, Apple, Facebook.
Oggi Aol è un’azienda in cerca di una nuova vocazione. La sua attività  nel settore delle e-mail si è integrata con il blog di notizie Huffington Post spostando completamente il baricentro verso la testata di Arianna Huffington. Gli azionisti di Aol sono da tempo in guerra contro i vertici, che accusano di avere dilapidato un patrimonio aziendale. Ora il chief executive Tim Armstrong potrà  placarli ridistribuendo a tutti i soci il bottino incassato da Microsoft: ieri a Wall Street ai massimi della seduta Aol ha toccato un rialzo del 45%. Armstrong ha paragonato i brevetti ceduti a «ville con vista sul mare negli East Hamptons» cioè la proprietà  immobiliare più pregiata per i miliardari newyorchesi. Per la Microsoft l’acquisizione è stata definita l’equivalente di «una barriera difensiva, un deterrente strategico nel campo della pubblicità  online, delle tecnologie e-mail e dei motori di ricerca». 
Apparentemente ci guadagnano tutti: Aol non sarebbe stata più in grado di utilizzare tutti quei brevetti, retaggio dell’epoca gloriosa in cui era lei a fare incetta di aziende hi-tech come Netscape. Microsoft conferma la sua intenzione di restare competitiva tra le grandi, nelle battaglie del futuro contro Apple, Google e Facebook: dove la posta in gioco è sempre di più il controllo dei frutti della creatività , da circondare con robuste barriere di filo spinato, garitte, bunker e fortificazioni giuridiche.

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