Kabul a ferro e fuoco I Taliban: “Inizia la vendetta per gli abusi dei marines”

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«È solo l’inizio», giurano i Taliban, inaugurando la loro offensiva di primavera con sei attacchi simultanei, di cui tre nel cuore di Kabul, contro il Parlamento, diverse ambasciate e il palazzo della vice-presidenza. A sera, mentre ancora si combatte attorno all’albergo della capitale dove sono asserragliati alcuni insorti, si contano già  una ventina di morti, la maggior parte dei quali nelle loro fila, alcuni abbattuti dalle forze di sicurezza, altri dilaniati dalle bombe che avevano indosso.

Più che segnare la fine del “riposo” invernale degli studenti del Corano, gli attacchi di ieri sono stati la rappresaglia ai recenti abusi commessi dalle truppe statunitensi: dal rogo dei corani, ai soldati che urinano sulle salme dei Taliban, al massacro di diciassette civili per opera di un sergente americano. Nella capitale, come rivendicato dal loro portavoce Zabiullah Mujahid, sono state perciò prese di mira «le basi della Nato, l’ambasciata britannica e quella tedesca, l’edificio del Parlamento, gli hotel Serena e Kabul Stare luoghi lungo la Darulaman road, dove si trova l’ambasciata russa».

Armati con mitragliatrici pesanti, lancia razzi Rpg e giubbotti imbottiti di esplosivi per attacchi kamikaze, i Taliban hanno tenuto testa per molte ore alla reazione delle forze speciali afgane appoggiate da reparti di militari della Nato. Gli insorti hanno anche seminato morte e distruzione in tre città  a Est della capitale. A Jalalabad, raccontano i testimoni, quattro miliziani sono andati all’assalto dell’aeroporto vestiti da donna, celati sotto il burqa.

Sono le 14 quando la protettissima enclave diplomatica di Kabul viene bersagliata da colpi di granata e di armi automatiche. In quel momento alcuni kamikaze tentano di sfondare il muro che protegge il Parlamento ma vengono respinti dai poliziotti. Altri assalitori si barricano in un edificio non lontano e cominciano ad aprire il fuoco. Non lontano da lì, un ennesimo gruppo di Taliban occupa l’Hotel Kabul Star, a poche decine di metri del quartiere delle ambasciate e del quartier generale della Nato. Al rumore dei primi colpi, nell’ambasciata americana viene azionata un’assordante sirena d’allarme. Si sparerà  nel corso di tutto il pomeriggio, eppure in serata si conteranno solo pochi danni materiali in un paio di sedi diplomatiche. Rimangono a terra dieci Taliban e tre soldati afgani, ma nessun membro del personale diplomatico risulterà  ferito. Secondo i servizi di sicurezza afgani gli insorti hanno anche cercato di uccidere anche uno dei due vice-presidenti del Paese, Mohammad Karim Khalili. Ma il tentativo fallisce. Nel frattempo, sono presi d’assalto alcuni edifici del governo di Logar, a sud della capitale. Pochi minuti dopo, diverse persone rimangono ustionate dalle esplosioni dei kamikaze travestiti da donna all’aeroporto di Jalalabad, che ospita una delle più importanti basi aeree della Nato. Non è finita: a Gardez, città  anch’essa nel settore oriental e d e l Paese, viene attaccato una scuola di polizia. Il bilancio di quest’ultimo assalto è di quattro civili feriti. Quanto accaduto conferma ancora una volta la vulnerabilità  di un sistema di sicurezza che ha permesso a un folto gruppo di kamikaze di raggiungere con tutti gli obiettivi prescelti. Tuttavia, dopo anni di addestramento che è costato miliardi di dollari, la polizia afgana è apparsa finalmente preparata a fronteggiare attentati micidiali e spettacolari come quelli perpetrati ieri. E che in altre epoche avrebbero potuto mietere centinaia di vite.


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12320 iracheni nel 2006 (o 43800) (il manifesto, 3 gennaio 2007)

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