Intervista a Maurizio Landini «La riforma non va. E Fornero fa bene ad ascoltare gli operai»

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Polemiche incomprensibili». Il segretario Fiom Maurizio Landini bolla così gli ultimi «battibecchi» mediatici sulla visita di oggi di Elsa Fornero allo stabilimento Alenia di Torino Caselle. L’appuntamento, chiesto da centinaia di lavoratori, ispirato e sponsorizzato dalla stessa Fiom, oggi è finito nel tritacarne politico-sindacale, con Raffaele Bonanni che chiede alla ministra di pensare semmai alla convocazione sugli esodati, che ancora non arriva. Anche Susanna Camusso aveva reagito male, accusando Fornero di essere «troppo altezzosa» per quella sua pretesa di fare lezioni. Dietro a tutto questo c’è la questione della rappresentanza, dei corpi intermedi, dell’opportunità  del contatto diretto governo-lavoratori. Finora Landini non ha fiatato. Lo fa oggi con l’Unità .
Si aspettava le polemiche?
«Sinceramente ritengo tutto questo esagerato. Il fatto che proprio quelli che finora hanno protestato più degli altri contro la riforma delle pensioni e l’intervento (io non la chiamo riforma) sul lavoro, cioè i metalmeccanici, si rivolgano al ministro per poter esprimere il loro punto di vista, mi pare positivo. Tanto più in un momento di crisi della rappresentanza, anche politica, che spesso è accusata di essere lontana dal Paese reale, è sicuramente un fatto di interesse».
Ma non le sembra che proprio questo schema indebolisca la rappresentanza?
«No, perché noi rappresentiamo quei lavoratori: loro sono il sindacato. L’incontro è assolutamente utile, e aiuta anche le organizzazioni sindacali. Il ministro sa che quei lavoratori hanno contestato i suoi interventi: il fatto che abbia il rispetto di ascoltarli mi pare importante». Fornero è già  stata contestata platealmente a Torino. Accadrà  anche oggi? Si aspetta scontri?
«Non credo proprio. I metalmeccanici sanno bene quali sono le regole democratiche, se non altro perché si sono visti togliere il diritto di parola all’interno degli stabilimenti Fiat». L’ultimo impegno di Fornero è un decreto per gli esodati. Lei crede che risolverà  il problema?
«Continuo a pensare che la soluzione migliore sia quella di garantire le condizioni contrattate negli accordi».
Il decreto non servirà  a questo?
«Mah, sento parlare di tornare al lavoro o cose di questo genere. Proposte impossibili, perché o le aziende non ci sono più, o hanno modificato i loro piani, e comunque quelle intese sono state firmate sostanzialmente per evitare che altri senza alcuna copertura di reddito andassero a casa. Questo è il tema centrale di oggi. La nostra critica all’intervento sul mercato del lavoro e a quello sulle pensioni nasce dal rischio di trovarci di fronte a licenziamenti collettivi privi di tutele. Io propongo che si facciano incentivi fiscali a chi redistribuisce il lavoro attraverso contratti di solidarietà . Sarebbe una soluzione intelligente, ma purtroppo restiamo inascoltati. Da noi al contrario si continua a defiscalizzare il lavoro straordinario. Così diventa sempre più urgente il problema di cosa accadrà  nei prossimi due anni, con la riduzione delle tutele».
Perché secondo lei non viene compresa questa proposta?
«Molti parlano di modello tedesco, eppure nessuno ricorda che in Germania si è fatto proprio questo per mantenere il livello d’occupazione. Finché viene prevista la possibilità  di avere tanti precari che costano poco, è impossibile invertire questa tendenza. E l’ultimo intervento Fornero non diminuisce affatto le figure atipiche». Bocciatura totale sul mercato del lavoro?
«È un pesante passo indietro culturale e dal punto di vista delle tutele. Per me il lavoro o contiene i diritti o non è lavoro. Invece quel testo sottende l’idea che il lavoro può esistere anche senza diritti, con meno tutele, meno ammortizzatori. Lo dimostra la decisione sull’articolo 18».
Sull’articolo 18 chiede modifiche?
«Credo che la Cgil debba riaprire questa questione, perché non siamo di fronte a un reintegro pieno, per di più in presenza di una diminuzione di tutele e di diritti. Questo è inaccettabile».
I confederali hanno ritrovato posizioni unitarie. Pensa che l’unità  reggerà  nel tempo, o è solo accidentale? «Sarà  perché ai metalmeccanici della Fiat viene negato il diritto di scegliere (cosa che modifica la natura di sindacato confederale in sindacato aziendale), ma io questa unità  stento a vederla. Non mi pare che il giudizio sui temi aperti oggi delle tre confederazioni sia uguale. Nel commercio c’è un accordo separato, nel pubblico impiego e nella scuola ci sono questioni aperte, nei metalmeccanici non ne parliamo. Penso che dopo la riuscita degli scioperi dell’ultimo mese, la Cgil debba recuperare iniziativa soprattutto sull’articolo 18».
Cosa pensa della presidenza Squinzi in Confindustria?
«Da quello che ha dichiarato mi apre un passo avanti. Spero si adoperi per ricostruire un sistema di rappresentanza che la Fiat ha messo a rischio».


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