India, un test missilistico per entrare fra i Grandi

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Il successo dell’India nel test di un missile intercontinentale capace di raggiungere Pechino conferma come in Asia sia in atto una corsa al possesso di Icbm, i vettori balistici più sofisticati e pericolosi perché capaci di portare a lunga distanza ogive atomiche, mutando dunque gli equilibri strategici. Al momento le uniche nazioni che ne possiedono sono i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu – Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna – ma il lancio perfetto dell’Agni-V dall’isola Wheeler porta ora ad includere l’India con la conseguente modifica dell’equilibrio con Pechino perché, come spiega l’analista militare di «Jane’s» Poornima Subramaniam, «ora Nuova Delhi può riuscire a colpire in profondità  la Cina, potendo di conseguenza impiegare i propri missili a medio e corto raggio come deterrenti nei confronti del Pakistan». Il cambiamento diventerà  operativo nel 2014-2015, quando l’Agni-V verrà  dispiegato nei silos sotterranei, assegnando all’India un ruolo di potenza capace di rivaleggiare con la Cina. In maniera analoga il leader nordcoreano Kim Jong Un si proponeva, con il test della scorsa settimana del proprio Icbm, di cambiare l’equilibrio di forze nell’Asia del Nord-Est, puntando a dimostrare di poter minacciare Tokio e Seul se non addirittura il territorio degli Stati Uniti al di là  del Pacifico. E al clamoroso fallimento del test, il dittatore ha replicato con un discorso di esaltazione del militarismo teso a far comprendere ai Paesi vicini che l’intenzione di possedere un Icbm continua ad essere in cima ai suoi pensieri. Un recente studio dell’«Arms Control Association» di Washington attesta che «il programma missilistico nordcoreano ha molte similitudini con quello iraniano», non solo per tipo di armamenti adoperati e collaborazione di ingegneri balistici ma in quanto mira a «modificare l’assetto strategico nella propria regione», ovvero il Medio Oriente, facendo di Teheran la prima potenza in grado di lanciare a 5000 km di distanza qualsiasi tipo di ogiva. La corsa di Pyongyang e Teheran verso i missili intercontinentali, come il successo di New Delhi nel test di ieri, avvalora la scelta compiuta dall’Alleanza Atlantica di includere nell’agenda del summit di maggio a Chicago l’accelerazione della realizzazione del sistema di difesa anti-missile,al fine di dotarsi in tempo delle contromisure necessarie alla minacce future. «A Chicago la Nato tenterà  di sviluppare un controllo congiunto sulle difese antimissile esistenti» preannuncia il Segretario di Stato, Hillary Clinton. D’altra parte la difesa anti-missile schierata da Stati Uniti, Giappone e Sud Corea in occasione del fallito lancio nordcoreano offre già  un esempio di come l’Occidente può tentare di proteggersi: unità  marittime Aegis, Patriot di ultima generazione posizionati attorno alle città , super-radar e satelliti del Pentagono hanno consentito al governo di Tokyo di rassicurare i propri cittadini sul fatto che il vettore sarebbe stato abbattuto se si fosse avvicinato allo spazio aereo nazionale. Se lo scudo anti-Nord Corea dispiegato nel Mar del Giappone è stato il primo test anti-Icbm, sul fronte della protezione dal lancio di missili a medio, corto e cortissimo raggio i dispositivi più avanzati sono invece quelli di cui dispone Israele, realizzati assieme agli Stati Uniti. Si tratta del sistema «Arrow» per intercettare missili tipo-Scud e dell’«Iron Dome» che invece protegge il Sud dello Stato ebraico da razzi lanciati da Hamas nella Striscia di Gaza. La sfida a distanza fra missili e sistemi anti-missile che tiene banco in più regioni dell’Asia lascia intendere che è questo il terreno su cui si misureranno i nuovi equilibri fra potenze. Anche se a posizionarsi in maniera differente è la Russia di Putin, che minaccia di non essere presente al summit di Chicago proprio per attestare la contrarietà  allo scudo della Nato.


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