In 40mila cantano contro Breivik
Nono giorno del processo all’imputato per il massacro di 77 persone, e Anders Behring Breivik stavolta sta zitto. La voce fredda dello stragista che in tutti questi giorni ha definito le sue vittime «traditori» e si è dato del «sano di mente» ieri è stata sommersa da quella di 40.000 persone che, nonostante la pioggia, sono scese in piazza a Oslo, presso il tribunale, per intonare «Children of the rainbow», famosa canzone popolare norvegese, inno all’uguaglianza che il killer ha detto di odiare. «Vinciamo noi», ha detto il chitarrista folk Lillebjoern Nilsen, autore della canzone, dirigendo il coro di migliaia di persone che hanno cantato il loro sdegno scegliendo un brano che parla di una società multiculturale e che Breivik durante il processo ha bollato come «propaganda marxista». «Vivremo insieme, come fratelli e sorelle, figli dell’arcobaleno e di una terra fertile», suona il ritornello della canzone, versione norvegese dell’americana «My Rainbow Race» di Pete Seeger, intonata a Oslo da anziani, giovani, bambini e anche da alcuni ministri della Cultura di paesi vicini alla Norvegia. Altre manifestazioni si sono tenute ieri in tutto il paese. Molte persone hanno deposto delle rose, simbolo del partito laburista e ricordo della «marcia delle rose» che si è svolta pochi giorni dopo la strage di luglio, fuori dal tribunale dove il killer viene processato per una bomba nel centro di Oslo, che ha ucciso 8 persone, e per lo spaventoso massacro di 69 giovani socialdemocratici sull’isoletta di Utoya. Al processo ieri ha parlato, anche lei zittendo Brejvik,, la «ragazza del miracolo», la 24enne Anne Helene Lund, sopravvissuta alla bomba nel palazzo del governo.
Related Articles
“Il giorno che inventammo lo scontro di civiltà”
Nel 1993 usciva su “Foreign Affairs” il controverso saggio dello studioso americano. Oggi il suo migliore allievo lo ricorda: “Era un preveggente, ma ha commesso degli errori”
Il patibolo per Morsi preoccupa l’occidente
L’unica, vera «preoccupazione» dell’Occidente è che la condanna di Morsi ne faccia un martire. E costringa a fabbricare un altro Al Sisi, prima che ci pensi l’Isis