IL SOLE BENE COMUNE
Come è noto, fin dall’inizio il presidente Mario Monti ha completamente trascurato i problemi ambientali ed energetici, quasi fossero perdite di tempo, di fronte ai problemi dello «spread» e dei mercati finanziari insoddisfatti di noi. Nel frattempo benzina e gasolio sono cresciuti di un quinto, travolgendo i cittadini, ma senza provocare soverchie emozioni nell’esecutivo che ha continuato a guardare altrove.
Nel corso del mese di marzo una simile trascurataggine non era più sostenibile e così il ministro dell’industria (sviluppo economico, nella nuova dizione) Corrado Passera ha indicato il colpevole, il fotovoltaico, in un intervento pubblico del 9 marzo. Un abile tentativo di stornare l’attenzione generale. In effetti anche la bolletta elettrica, non solo la benzina, pesa sui bilanci delle famiglie in modo preoccupante. Per il ministro si tratta di nove o dieci miliardi di euro di contributi ai produttori l’anno, sei o sette dei quali relativi alla sola filiera del fotovoltaico. Il ministro aggiunge due aspetti che potrebbero travolgere la simpatia che il sole si è guadagnato nell’Italia degli ultimi anni. L’uno è che si sarebbero presi impegni di 150-200 miliardi da qui al 2020, solo applicando i contributi già previsti. L’altro è che i vantaggi per le rinnovabili sarebbero tutti esportati verso i produttori di pannelli e di pale eoliche. Gratta gratta, dentro un ministro liberale troverai un cuore di protezionista. E’ certo però che anche questo secondo argomento ha il suo fascino.
A ben vedere, non è che ci siamo dati, noi europei, un obiettivo 20-20-20 al 2020 per fermarci lì, soddisfatti per sempre. Quella data e quello che essa significa sono gli obiettivi minimi di sopravvivenza, nonché una tappa intermedia per raccogliere gli sforzi comuni e andare avanti.
Serve quella data agli italiani e agli altri europei per raccogliere le forze e fare piani adatti, comprare e finanziare le tecnologie necessarie, inventarne di nuove, decidere le mosse utili per raggiungere il risparmio, il taglio dell’inquinamento, il livello di energie rinnovabili che l’Europa democratica affida a tutte le comunità che ne fanno parte.
Detto in altre parole, questo piano significa che non c’è compatibilità possibile tra energie rinnovabili e energie fossili. Queste ultime sono il passato; un passato da abbandonare senza soverchi rimpianti, proprio perché è ormai coscienza comune il pericolo di una civiltà legata ai fumi del petrolio, del gas e del carbone. Ci vorranno anni e decenni per accompagnare il nuovo modo di vivere, produrre, spostarsi, ma prima si decide chi deve fare cosa, prima si fanno programmi e atti di governo, si semplifica la vita di tutti e i pericoli di non arrivare in tempo si riducono, almeno un po’.
I nostri ministri, professori e banchieri, che sanno tutto sull’interesse composto, non avranno difficoltà a rendersi conto di quanto costi rallentare o peggio bloccare una linea di sviluppo come quella del fotovoltaico, ma anche le altre, concorrenti con la prima. Invece di chiamare tutti alla costruzione di un piano energetico comune, il loro intervento, opposto, pur con il consenso apparente della popolazione sconvolta da difficoltà , o miseria, crescenti, avrebbe l’effetto di rompere per un lungo tempo un progetto valido e forse indispensabile. Verrebbe rovesciata la scelta nazionale di innovare e andare avanti, la scelta in questo caso, del sole, un bene comune che non sarà un governo, sia pure altolocato, a spazzare via.
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