Il Senatur attacca: pm di Roma ladrona

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MILANO — Nessuno si faccia illusioni: il giorno in cui Umberto Bossi si ritirerà  nell’orto di Gemonio è ancora lontano. Il capo leghista ieri è rimasto per l’intera giornata e fino a sera inoltrata nel suo ufficio di via Bellerio dove ha avuto un colloquio con Maroni e ha visto anche Giorgetti e Calderoli. Niente di risolutivo, ma un concetto è chiaro: da segretario o da presidente Bossi resta tutt’uno con le mura di via Bellerio e continuerà  a essere la voce determinante del movimento.
E così, la prima giornata dopo il terremoto delle dimissioni il leader l’ha trascorsa se possibile dedicando ancora più tempo del solito alla sua creatura politica. Bossi ha dettato la linea sin dal mattino, quando si è trovato i cronisti fuori dal cancello della casa di Gemonio. «Mi pare che l’intera faccenda puzzi — dice salendo sull’auto che lo porterà  a Milano — e sa tanto di cosa organizzata, noi siamo i nemici di Roma ladrona e padrona dell’Italia, uno Stato che non riuscirà  mai a essere democratico. Roma farabutta ci ha dato questo tipo di magistrati». E a proposito dei figli: «Ho sbagliato a farli entrare in politica, ma Renzo mi ha detto che l’auto l’ha pagata coi suoi soldi: mi ha mostrato anche le fatture».
Bossi si chiude nel suo ufficio salvo un piccolo fuoriprogramma: pochi minuti prima delle 15 parte in macchina con scorta al seguito per andare a seguire la funzione religiosa del Venerdì Santo nella vicina chiesa di santa Giustina. L’improvvisa fuga fa pensare che il tàªte-a-tàªte sia rinviato ma così non sarà  anche se sempre in mattinata Bossi aveva avuto parole non del tutto benevole per l’ex ministro dell’Interno: «Ha voluto fondare i Barbari sognanti, che è una specie di corrente che non è né con me né contro di me. Ma lui non è un Giuda».
Il colloquio con Bobo dura un paio d’ore: troppo breve per essere un vertice chiarificatore, troppe e troppo travolgenti le novità  che stanno uscendo dalle carte giudiziarie per essere esaminate in un lasso così breve di tempo. A un certo punto corre voce anche che negli uffici di via Bellerio sia presente Nadia Dagrada, la dirigente amministrativa che ha raccontato ai magistrati i segreti inconfessabili sulle finanze padane, ma è una voce che non viene né smentita né confermata.
L’unica dichiarazione sul contenuto dell’incontro arriva da Maroni: «Riprende l’iniziativa politica della Lega. Abbiamo fatto il punto della situazione e discusso delle prime iniziative da prendere a partire già  dalla prossima settimana. Ci sarà  in primo luogo la riunione del comitato amministrativo. E poi ci metteremo al lavoro sulle iniziative politiche del movimento per garantire la trasparenza finanziaria dei partiti».
Sul piano politico, l’assenza del Carroccio dalla scena è destinata a durare poco: martedì sera è confermata la serata di «orgoglio padano» al Palacreberg di Bergamo, presente anche Bossi in persona. Si prevede un’affluenza massiccia ma saranno gli assenti a farsi notare di più. Sempre sul piano politico, un centinaio di segretari di sezione lombardi (ma l’iniziativa è destinata ad allargarsi) stanno sottoscrivendo un documento in cui si chiede l’istituzione di una commissione d’inchiesta sulla gestione dei fondi del partito e l’espulsione dal movimento di coloro che hanno costretto Bossi a dimettersi, «una decisione sicuramente superiore alle sue responsabilità ». Come dire che le magagne che la magistratura va svelando non sarebbero frutto di un complotto ma un malcostume di cui da tempo si vociferava.
Intanto sembra non trovare soluzione la guerra tra «maroniani» e fedeli del cerchio magico. Ieri la maggioranza del direttivo di Varese (fedele a Bobo) ha chiesto che venga sfiduciato il segretario Maurilio Canton (espressione della fazione opposta): quest’ultimo sarebbe stato individuato nel drappello di militanti che giovedì avevano atteso Maroni in via Bellerio per lanciargli volantini in cui lo si accusava di essere un traditore della causa padana.
Ieri è arrivata anche la prima replica di Rosy Mauro alle inquietanti ombre che l’inchiesta giudiziaria sta proiettando sulla sua figura: «Non sono una traditrice, ma Belsito è stato un po’ superficiale». Presto si vedrà  con Bossi, che lascia alle 22 il suo ufficio: un po’ per rimarcare la distanza dal nucleo familiare di Gemonio, che in queste ore gli ha riservato più di un’amarezza, un po’ per non sentire le grida che giungono da un paio d’auto dalla strada; rallentano davanti alla sede della Lega, si abbassa un finestrino e dall’interno qualcuno grida: «Ladri!».


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Riassunto delle puntate precedenti. Silvio fa schifo a tutti. La Marcegaglia e Confindustria non lo possono più vedere. I vescovi lo mollano, Bagnasco lo bacchetta. La Cisl, la camerierina del sig. Sacconi, comincia pure lei a storcere il naso.

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