by Editore | 13 Aprile 2012 9:18
Una politica che mostra da troppo tempo la corda. «Il problema dell’immigrazione irregolare non si risolve con i Cie» ha spiegato ieri il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato presentando il «Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia» votato da tutti i senatori della commissione.
Lo studio è frutto di una serie di visite compiute negli ultimi dai membri della commissione nei 13 Cie presenti in Italia – da Trapani a Gorizia – e all’interno dei quali si trovano 1.050 immigrati spesso in condizioni indegne di un Paese civile. «I Cie – ha proseguito Marcenaro – sono posti dove le persone vengono private delle libertà personali, dove ragazzini spauriti vivono fianco a fianco con delinquenti incalliti, dove i migranti vengono tenuti in gabbie come animali, dove il tempo di totale inattività viene riempito solo dalla totale insicurezza». Non a caso una delle caratteristiche di questi luoghi è l’abuso di medicinali, specie psicofarmaci.
Entrare in un Cie per documentare quanto vi accade dovrebbe essere una pratica normale, eppure non è così. Sempre il governo Berlusconi, quando al Viminale sedeva il leghista Roberto Maroni, ha vietato l’ingresso nelle strutture ai giornalisti. Con il governo Monti le cose sono cambiate grazie a una circolare emessa a gennaio dal ministro Cancellieri che ha riaperto le porte dei Cie ai giornalisti. Anche se le cose non sono sempre semplici. Ci sono ancora troppi ostacoli da parte delle singole strutture che si oppongono più o meno pretestuosamente all’ingresso dei giornalisti», ha denunciato Roberto natale, presidente della Federazione nazionale della stampa presente anche lui alla presentazione del rapporto. E Natale non ha nascosto le responsabilità che parte della stampa ha avuto in passato nell’assecondare le politiche razziste del governo Berlusconi. In Italia, ha spiegato, ha prevalso una «ossessione securitaria che ha distorto il dibattito in Italia su carceri e Cie» e della quale spesso «l’informazione è stata succube, andando al traino di una clima politico-culturale».
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