Il ritorno del «protezionismo» scuote le elezioni presidenziali

by Editore | 11 Aprile 2012 7:19

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PARIGI – Una parola tabù emerge nella campagna francese: si tratta del protezionismo. È sotto questo angolo che l’Unione europea è entrata nella campagna presidenziale. 
C’è chi usa esplicitamente il termine «protezionismo», come Marine Le Pen del Fronte nazionale o Nicolas Dupont-Aignan, che fa riferimento al vecchio gollismo. Entrambi propongono barriere doganali ai confini della Francia, parlano di uscita dall’euro, come viatico per reindustrializzare il paese. C’è chi introduce il concetto con cautela: il centrista Franà§ois Bayrou parla di privilegiare il “made in France” e invita a «comprare francese». Jean-Luc Mélenchon del Front de Gauche vede nella demondializzazione, difesa anche dal socialista Arnaud Montebourg, la strada per rilanciare l’occupazione in Francia. Mélenchon, che la sera del primo turno, il 22 aprile, potrebbe essere il “terzo uomo” della presidenziale, combatte per cambiare le regole in Europa: afferma che non applicherà  la deregulation sui servizi pubblici volta da Bruxelles, chiede che la Bce presti direttamente agli stati e afferma che la sua linea sarà  la «disobbedienza» alla Ue. Ma anche i due principali candidati, Franà§ois Hollande e Nicolas Sarkozy, hanno nel programma degli elementi che mirano alla protezione del mercato francese ed europeo, sfidando la linea attuale dominante nell’Unione europea. Sarkozy, dopo aver minacciato di voler voltare le spalle agli accordi di Schengen (libera circolazione), ha proposto un Buy European Act, sul modello statunitense, per imporre la reciprocità  nell’accesso alle commesse pubbliche ai paesi che non la rispettano (Cina, in primo luogo, ma anche altri emergenti). Il ministro della ricerca, Laurent Wauquiez, ha usato la parola «protezionismo», facendo riferimento al quadro europeo. Per Europa-Ecologia il protezionismo passa per la richiesta di pretendere dai prodotti importanti il rispetto degli stessi standard europei in campo ambientale e sociale. Hollande, che ha promesso la revisione del Fiscal Pack firmato da 25 paesi ma per il momento non ancora ratificato da nessuno, promette di lottare a favore del fair trade, per scambi «giusti» dove valga la reciprocità , per correggere lo squilibrio rappresentato da un’Europa, considerata aperta ai quattro venti, di fronte a paesi che usano senza problemi l’arma del protezionismo. 
Stando ai sondaggi, due francesi su tre approvano l’introduzione di barriere doganali ai confini dell’Unione europea, per preservare l’occupazione e i salari. Una posizione che spiega, a posteriori, il «no» del 2005 al trattato costituzionale. In questo periodo, sono usciti vari libri che difendono la tesi della protezione. L’unico Premio Nobel francese dell’economia, Maurice Allais, sostiene che il protezionismo è nefasto tra paesi con eguali salari, ma è «assolutamente necessario» con paesi con livelli di vita differenti. Circola una petizione a favore del «protezionismo intelligente», promossa da economisti come Jacques Sapir, Jean-Luc Gréau o Philippe Murer, dove viene sottolineato che «l’instaurazione del libero scambio totale tra l’Europa e i paesi a bassi salari come la Cina si è tradotta in una catastrofe economica e sociale». Per Murer, «la Francia dovrebbe fare come con l’Iraq: usare il veto, appoggiandosi sui cittadini degli altri paesi, senza volontà  di dominio», per trascinare gli altri paesi Ue a scegliere un «protezionismo intelligente». C’è una richiesta di rinazionalizzare le scelte, come per esempio il reperimento di denaro fresco con l’obbligo di investire il 2% dei capitali piazzati nell’assicurazione sulla vita (in Francia 1300 miliardi). La parola-chiave è «regolazione», non l’autarchia, visto che un francese su quattro lavora grazie all’export, che conta per il 23% nella composizione del reddito nazionale. Anche tra gli economisti Atterrés, per i quali «non si può continuare così», c’è «una richiesta di protezione, non di protezionismo», precisa l’economista Dany Lang. La politica della concorrenza messa in atto in Europa ha portato deindustrializzazione e disoccupazione, affermano. Per gli Atterrés bisogna «rimettere in causa la libera circolazione dei capitali e delle merci tra l’Unione europea e il resto del mondo, negoziando, se necessario, accordi multilaterali o bilaterali». Contro la politica della libera concorrenza in vigore, propongono «l’armonizzazione nel progresso».

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