Il ricordo di Umberto Eco “così raffinato, così generoso”

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Il nove gennaio l’ultimo incontro. A Bologna, città  che entrambi hanno molto vissuto e contribuito a far vivere, trasformandola in un centro di ricerca internazionale. Un incontro proprio in quegli antichi palazzi dove hanno spiegato semiotica ai ragazzi e non solo. Nella cerimonia per l’ottantesimo compleanno di Umberto Eco, Omar Calabrese prese la parola per un discorso fuori dagli schemi, originale come sapeva essere il suo pensiero, «un discorso che ricordo per la generosità  e la simpatia, anche l’umorismo, con cui ha ripercorso la mia vita». Umberto Eco parla dell’intellettuale raffinato, della mente brillante che ha saputo conciliare l’impegno accademico con quello politico, ma mette subito in chiaro: «Ho visto che su Internet lo stanno definendo il mio discepolo prediletto. Non è del tutto giusto. Quando lo conobbi era appena laureato, ma dimostrava una profondità  di analisi e un rigore che me lo fecero considerare da subito come un giovane collega».
Che anni erano?
«I primissimi Settanta. Arrivava da Firenze con una solida laurea in linguistica. Era stato allievo di Giovanni Nencioni e nella sua tesi analizzava il linguaggio televisivo, credo di Carosello. Uno studio nel quale applicava i suoi interessi alla cultura di massa. A Bologna cominciò a collaborare con Tomà¡s Maldonado e quello fu l’inizio di una amicizia e di una avventura lunga più di quarant’anni».
Segnata da molte tappe.
«I primi congressi di semiotica, i convegni internazionali, gli appuntamenti in cui mosso da una insaziabile curiosità , Omar dimostrava la sua capacità  di lettura e penetrazione». 
Non solo nell’analisi del linguaggio della comunicazione televisiva…
«Si muoveva nell’area dei mass media, ma anche in campo artistico manifestando originalità  nella scelta dei temi e nella capacità  di analisi. In questo momento, nella mia casa di campagna, ho con me due suoi saggi, uno sull’arte dell’autoritratto e uno sul trompe-l’oeil. Prendiamo il primo, una indagine di 400 pagine, e scorriamone l’indice: autoritratto come firma dell’autore, come manifestazione di una identità  generica, come creazione di un doppio di se stesso, come espressione di passioni e melanconia, come autobiografia… Ogni sezione un concetto, fino all’ultimo capitolo in cui indaga la pittura contemporanea che ha negato o addirittura distrutto l’autoritratto. In autori come Mirò, Malevic, Lichtenstein o Boetti rintraccia altre forme di autorappresentazione. Questo per dire la raffinatezza e l’approfondimento d’analisi».
Un grande intellettuale e poi?
«Un uomo impegnato politicamente, nell’Ulivo ma anche come consigliere comunale a Bologna e assessore alla Cultura a Siena. Non si è mai sottratto all’impegno politico, ma come spesso accade con le persone perbene ne è stato relegato ai margini».
Fu anche un divulgatore.
«E’ più esatto dire che fu un grande maestro, eccellente nell’insegnamento ma anche generoso nel rapporto con i suoi allievi. Ricordo una bellissima serata a Siena in cui lui si mise a suonare la chitarra fino alle due di notte. Faceva parte di quelle persone, spesso malviste nell’ambiente accademico, capaci di saltare da un piano all’altro. Nella carriera universitaria, come nella vita, sapeva accorciare le distanze, scivolare tra i piani, dall’alto al basso».
Non si risparmiava…
«Era un uomo che amava vivere ogni momento, intensamente».
Avevate in programma di rivedervi?
«Forse sarebbe venuto a trovarmi nella mia casa di campagna. E invece ora sono io a dovere attraversare l’Appennino per andare a Siena…»
Discepolo, collega, intellettuale impegnato politicamente, semiologo e mediologo. Con quale di queste definizioni preferisce ricordarlo?
«Omar era tutto questo, ma non solo. Vorrei ricordarlo per il suo rigore, la sua onestà  e curiosità . Come uomo perbene. Come un amico».


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