Il premier a Bruxelles e Grilli in Cina così Monti traccia la rotta della ripresa

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ROMA – Mario Monti prende in mano le politiche per la crescita.È diventata questa la vera priorità .

E come ha fatto sul lavoro, nel momento di maggiore scontro con i sindacati, il premier ha deciso di giocare direttamente lui la partita. Lasciando in qualche modo un ruolo da comprimari ai ministri competenti: prima il titolare del Lavoro, Elsa Fornero, ora quello dello Sviluppo, Corrado Passera.

Ieri Monti è andato Bruxelles, è intervenuto all'”European Business Summit” per dire che non bastano le riforme strutturali per uscire dalla crisi. Serve la crescita.

Oggi ne parlerà  con il presidente della Commissione, José Manuel Barroso. Perché questa sfida si vincerà o si perderà  soprattutto in Europa. Il premier sa benissimo che senza la leva della domanda tedesca la ripresa italiana non ci sarà .

Noi siamo rattrappiti nella più grave recessione dal dopoguerra.

Le nostre imprese sono a corto di liquidità , gli investimenti sono fermi, i consumi congelati, la spesa pubblica bloccata.È tutto scritto nel Documento di economia e finanza (Def): – 1,2% il Pil quest’anno, e + 0,5% l’anno prossimo. Stime, tuttavia, più ottimistiche di quelle dell’Fmi. Perché gli economisti di Washington, che credono poco alla spinta pro-crescita che può arrivare dalle liberalizzazioni, prevedono un – 1,9% quest’anno e un – 0,3 nel 2013.

L’Europa dunque, con i suoi eurobond, da cui far ripartire l’economia, ma anche la potenza cinese. Sì, perché nella contemporaneità  degli incontri di Monti a Bruxellese di quelli del suo vice all’Economia, Vittorio Grilli, a Pechino con i rappresentanti dei fondi sovrani cinesi, c’è la chiave per comprendere l’articolazione della strategia del governo. Da una parte fare blocco con le economie del Vecchio Continente, dall’altra provare a sfidarle sui mercati in espansione, Cina in testa. «La Cina – ha spiegato Grilli – cresce, capisce che deve diversificare sia l’import che l’export e si sta aprendo. Se l’Italia sarà  in grado di offrire un quadro di prospettive economiche positive di certezze nell’investimento, diventerà  un target importante».

Vanno usate tutte le leve a disposizione per attrarre investimenti, per costruire un ambiente favorevole, per non venire risucchiati dalla recessione.

Per questo serve anche un’azione più incisiva da parte del ministero dello Sviluppo. Davanti alle telecamere, intervistato da Lucia Annunziata, il ministro Passera ha detto di non avere «un’ideona» e che le politiche per lo sviluppo si compongono come un puzzle di tanti pezzi. Incentivi alle imprese, politiche infrastrutturali, energia, liberalizzazioni. I risultati però si vedono a stento.

Passera guida un grande ministero ma – va detto – ha poche risorse a disposizione. Gliel’ha tolte Giulio Tremonti ai tempi della sua lotta con Claudio Scajola.

Quel dicastero è stato spolpato. Ma Passera non ha saputo riconquistare posizioni, schiacciato, senza combattere, dal pacchetto di mischia del Tesoro, con Grilli, il capo di gabinetto Vincenzo Fortunato, il direttore Andrea Montanino, e il Ragioniere generale dello Stato, Mario Canzio, che impedisce qualsiasi deviazione dal rigore. «La verità  – ha confidato lo stesso ministro a un amico imprenditore – è che non ci sono soldi. Sono stati tutti impegnati peri prossimi tre anni». Anche per questo Monti ha bisogno di gestire l’operazione crescita in prima persona. Perché il premier è anche il titolare dell’Economia. Il “pacchetto di mischia” risponde innanzitutto a lui. Un sentiero strettissimo che deve portare alla crescita attraverso l’austerità .

Quasi la quadratura del cerchio.

È un lavoro certosino quello che va fatto. Per esempio al Cipe.

Recentemente sono stati annunciati quasi 19 miliardi (di cui circa cinque già  assegnati in precedenza) destinati alle opere infrastrutturali. Bene – secondo i calcoli dell’Ance, l’associazione dei costruttori – non più di quattro di quei 19 miliardi sono disponibili in termini di cassa nel 2012.

E il pagamento dei debiti da parte della pubblica amministrazione alle aziende creditrici? Qui si rasentano i 70 miliardi. Il ministro dello Sviluppo ha annunciato che la soluzione si stava avvicinando attraverso la certificazione dei crediti da parte della Consip, l’agenzia che dipende dal ministero dell’Economia. Ma negli incontri al ministero di Via Veneto, i rappresentanti delle imprese si sono sentiti dire dai tecnici che per la certificazione ci vorranno almeno tre mesi e che, comunque, le aziende creditrici dovranno accettare di essere pagate tra un circa un anno.

In mancanza di idee, Passera che tra l’altro, ieri, si è schierato a difesa di Finmeccanica («Non basta un avviso di garanzia per destabilizzare un’azienda») – si è rivolto alla McKinsey, dove si è formato come manager. Ma non l’ha fatto direttamente: ha suggerito a Confindustria, Ania, Cooperative e Abi di commissionare uno studio alla società  di consulenza. Ne è uscito un corposo dossier (“Progetto Crescitalia”) con molte ricette note (meno burocrazia, più digitalizzazione, più internazionalizzazione). E anche un commento disarmante di un anziano imprenditore lombardo: «Nelle aziende quando non si sa come risolvere un problema ci si affida alla McKinsey…» .


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