Il popolo Rom nomade per forza

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Nella storia europea non c’è popolo che abbia subito tante persecuzioni come il popolo Rom. Perfino quando ricordiamo lo sterminio nazista, celebriamo solo la Shoah, ma non il Porrajmos, ovvero la «devastazione» dei Rom. Eppure si calcola che furono tra 500 mila e 1 milione e mezzo i Rom sterminati nei lager. Di loro, però, eccedenza costitutiva, scarto inassimilabile perfino nella memoria, non dev’esservi traccia. Ecco allora che un libro come Rom, genti libere di Santino Spinelli (Dalai editore, 17,50 euro) è indispensabile a tessere nuovamente un filo, assegnando un nome, un volto e una storia a un’entità  che da sempre viene disconosciuta, manipolata, fatta oggetto di menzogne secolari che hanno dato legittimità  alla loro persecuzione.
Il libro di Spinelli, musicista e intellettuale (insegna all’Università  di Chieti), ci restituisce anzitutto, con una rilevante mole documentaria, la storia del popolo Rom. Che dall’India del Nord all’ inizio dell’XI secolo, dopo le razzie del sultano persiano Mahmud di Ghazni, venne deportato a occidente: e proprio in Persia quelle differenti comunità  si diedero il nome «Rom», ovvero «uomo».
Molto interessante il modo in cui Spinelli intreccia la storia dell’ esodo dall’India con il divenire della lingua romanì, un itinerario di terre e culture attraversate, che mostra come in tutta evidenza la lingua sia una sedimentazione di esperienze. A cominciare, ad esempio, dalla parola «mare», di cui appunto i Rom fecero per la prima volta esperienza in Persia. Di lì arrivarono nell’Impero bizantino, dove vennero nominati Atsingani (da cui «zingari»), come una setta manichea itinerante con la quale vennero confusi. Il primo modo per non rispettare l’altro è occultarne il nome e l’identità , e proiettargli addosso i nostri fantasmi (così anche «gypsy» e «gitano» vengono da «aegyptianus»).
I Rom erano molto scuri di pelle, e nell’Europa medievale questa era una cosa che spaventava, legata al diavolo. E poi le loro «origini oscure», la lingua misteriosa interpreta-
ta come slang furbesco, i diversi modi di vivere, la pratica delle arti magiche e divinatorie (che li rese invisi alla Chiesa): vennero così banditi da ogni territorio d’Europa.
L’arrivo di queste genti era tanto più inaccettabile nel momento cui si costruivano monarchie nazionali e signorie centralizzate, essendo un elemento di instabilità . Si venne a creare così un circolo vizioso inarrestabile. Nel 1498 l’Imperatore Massimiliano I d’Asburgo emanò un bando: «chiunque può ammazzare e bruciare gli zingari senza commettere reato». In tutta Europa si diffusero misure simili. Una parte consistente di romanì intanto era resa schiava nei principati rumeni, e tale rimase fino alla metà  del XIX secolo: anche questo è un altro immenso crimine contro l’umanità  che è stato dimenticato, pure in Romania.
IN ITALIA
Un altro capitolo ignoto è l’odierna composizione della popolazione Rom in Italia: su 170mila persone stimate, 60% sono cittadini italiani, prevalentemente stanziali, abitando in case e esercitando svariati mestieri. 30mila sono venuti dalla ex Jugoslavia e 40mila dalla Romania: anch’essi erano, prima delle crisi sociali di quei Paesi, prevalentemente stanziali. Il presunto nomadismo Rom è un’altra violenza esercitata ai loro danni. Chiedete a un Rom se è lui che vuole stare in un campo. Vi risponderà  di no. Ma questo elemento di conoscenza, fondamentale per sviluppare una politica basata sui diritti umani, di solito manca ai politici. Molte altre cose che è necessario conoscere ci sono in questo libro (tutta la seconda parte è dedicata agli elementi della cultura romanès: per ciò, leggetelo.


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