Il partito pagava l’affitto romano di Calderoli

by Editore | 20 Aprile 2012 8:36

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Casa dolce casa. Soprattutto quando la pagano gli altri. Lo scandalo della Lega non conosce sosta e ieri i pm napoletani Curcio, Piscitelli e Woodcock hanno fatto trapelare un’altra notizia imbarazzante: la casa romana al Gianicolo usata da Roberto Calderoli veniva affittata con i soldi del partito. Il Cald – così viene chiamato nelle intercettazioni che lo coinvolgono – si difende: «Stanno infangando il mio lavoro». Ma ormai anche il secondo triumviro dell’era Maroni non appare più solo il duro e puro che si «limitava» a insultare gli islamici e ad inventarsi la legge «porcata». Si sa, una cosa è fare politica becera e razzista, ben altra è finire nel mirino dei pm.
La vicenda dell’appartamento padano all’ultimo piano di via Ugo Bassi con vista sulla Capitale finisce inevitabilmente nel calderone delle malefatte leghiste, insieme ai lingotti e ai diamanti di Belsito e Rosy Mauro. E poco importa se Calderoli sembra avere qualche attenuante quando dichiara che l’affitto di quella casa veniva pagato dal partito perché lì lui ci lavorava per la Lega: «Da 10 anni svolgo l’incarico di Coordinatore della segreteria nazionale della Lega Nord – si è difeso – incarico che mi ha portato a lavorare quasi 7 giorni su 7 senza mai percepire un’indennità , ma solo un rimborso spese che è stato costantemente devoluto al movimento. Mi si infanga per avere in dotazione una casa-ufficio dal costo di 2.200 euro, quando io verso mensilmente 3.000 euro alla Lega». 
Certo il caso non è paragonabile con la casa davanti al Colosseo di Scajola comprata a sua insaputa, ma è l’ennesimo episodio che documenta gli odiosi privilegi dei politici. Quando si parla di casa i cittadini si infuriano e ne hanno tutti i motivi: sono angosciati dal tormentone delle rate dell’Imu, dai mutui, e dal prezzo in picchiata degli immobili, e quindi risulta intollerabile che i politici a vario titolo abbiano sempre ville e super attici a loro disposizione. Per questo lo scandalo tutto leghista, a torto o a ragione, sta alimentando ogni giorno di più l’odio contro tutta la classe politica. Anche se la Lega fa di tutto per farsi del male, non solo per le inchieste della procura, ma soprattutto per la guerra interna che sta dilaniando il partito. 
Ieri, l’ultima scaramuccia ha avuto come protagonisti il deputato del Carroccio Gianluca Pini e l’ex capogruppo leghista Marco Reguzzoni. «Quando scopro che il mio ex capogruppo ha speso in un anno 90 mila euro con la carta di credito del gruppo qualcuno mi deve giustificare come cavolo sono stati spesi». Una bazzecola rispetto ai dossier sventolati dal tesoriere Belsito contro Bobo Maroni. Eppure anche questi quattro soldi sono sufficienti a scatenare la bagarre tra i discepoli leghisti e finiscono per mettere in croce l’ex grande capo. Il deputato bergamasco Giacomo Stucchi arriva ad ipotizzare (per poi smentire) che «i conti tornerebbero facilmente se, ad esempio, venissimo a sapere che l’ex capogruppo Reguzzoni ha usato quei soldi per pagare la cena di festeggiamento dei settant’anni di Umberto Bossi». Il livello è questo.

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