Il misterioso futuro di Aung San Suu Kyi
YANGON – A Yangon, la principale città della Birmania, le bandiere della Lega nazionale per la democrazia (Nld) sventolano ovunque, specie nei paraggi della sede del partito, nei quartieri residenziali a nord, non lontano dalla Swedagon Pagoda. Le magliette con la faccia della leader, «The Lady» o «The Mother», come viene chiamata Aung San Suu Kyi, vengono vendute dai suoi sostenitori su carretti e pick-up in Swegondine Road e downtown, la parte vecchia di Yangon a ridosso del porto, trovate tazze, portachiavi e ogni genere di gadget, una proliferazione di simboli legati al partito del drago giallo volante su sfondo rosso, impensabile solo qualche anno fa quando i membri del partito e quelli di altre forze dell’opposizione venivano sistematicamente arrestati e perseguitati e oggi molti di loro fanno parte della diaspora di tre milioni di persone che per motivi politici ed economici hanno lasciato il paese. Un numero impressionante a fronte di 2 milioni e mezzo di abitanti oggi. Ecco perche nei giorni scorsi il presidente Thein sein ha chiesto agli emigrati di ritornare. «Siamo veramente felici – esclama un ragazzo di 22 anni che ha passato gli ultimi giorni a festeggiare – è dal 1990 che aspettavamo questo momento. Allora il partito vinse ma il risultato non fu riconosciuto. Oggi questa vittoria la dedichiamo anche a tutti quelli che sono morti per un ideale».
Una vittoria della gente comune
Ma a parte i militanti convinti, la febbre per la Lady sembra dilagare veramente nel paese, dove si è registrata una media di preferenze che si aggira sull’80%. «Siamo contenti – dice un uomo in un vicolo della città vecchia avvolto nel suo longji – la mia famiglia storicamente ha sempre parteggiato per un altro partito dell’opposizione, il Partito democratico Myanmar, ma in occasione di queste elezioni abbiamo tutti votato per Suu Kyi. Speriamo che lei possa cambiare il paese». Gli altri sorridono felici. «Siamo tutti poveri, speriamo che il futuro del paese migliori e possiamo vivere un po’ meglio» spiega un’anziana della casa.
Aung San Suu Kyi ha preso almeno 38 seggi su 45. Secondo i risultati resi noti sinora, l’Ndl ha ramazzato trentacinque parlamentari nella Camera bassa e tre in quella alta, ma la commissione elettorale nelle prossime ore annuncerà a chi sono andati gli ultimi cinque seggi. Ormai i dubbi sulla correttezza delle elezioni si sono dissipati. «È un momento storico – ha detto la leader del partito vincitore – Una vittoria della gente comune». Insomma anche Suu Kyi si è dovuta rimangiare domenica sere le parole dette alla mattina e nella giornata di sabato, quando sono state scoperte alcune irregolarità nelle liste elettorali e ai seggi.
Sapere che un uomo era stato registrato venti volte in luoghi diversi, che risultavano nelle liste elettorali decine di morti e che i militari potevano votare in anticipo non poteva certo confortare. E la radio senza fili della Birmania riverberava queste notizie anche sui siti degli espatriati e rimbalzavano nei media internazionali accreditati in massa. Un centinaio di giornalisti stranieri sono stati accreditati, con totale libertà di movimento. Un unicum nella storia recente del paese.
I diplomatici che hanno seguito le elezioni in qualità di osservatori dicono che le elezioni sono state corrette. Un diplomatico di un paese asiatico è andato nel delta dell’Irrawaddy, dove «a parte piccole cose, in sostanza c’è stato uno spoglio corretto del voto, alla presenza dei delegati delle vari liste», spiega. Sulla questione dell’advance votes, come vengono chiamate le votazioni anticipate riservate ai militari, un diplomatico europeo dice che nel seggio da lui seguito, in una township del nord di Yangon, su 600 votanti circa, più di 350 sono andati all’Nld,che gli osservatori hanno potuto seguire tutto il procedimento rimanendo anche allo spoglio e ci sono stati solo tre advance vote per militari che in occasione delle feste di Pasqua e della festa dell’acqua a metà aprile, con la chiusura delle scuole per due settimane, dovevano tornare al loro paese. Tra l’altro anche i tre hanno votato per la Lady. Più di così…
Il futuro è tutto da costruire. Il leader del partito democratico Myanmar, Thu Tu Wai, che si è fatto tre mesi e poi otto anni di galera negli anni Novanta per aver collezionato articoli della stampa internazionale, ma poi ha scelto di partecipare alle elezioni del 2010, nella sede del suo partito in Thein Byu Street, downtown, due piccole stanze ma diverse persone all’opera, ci ha detto di sperare in una coalizione dei partiti d’opposizione in vista delle elezioni nazionali e generali del 2015 quando verranno eletti un migliaio di politici, tra camera bassa, alta e parlamenti regionali. Insomma conta sul fatto che la Lady cerchi di allargare la sua base.
Che cosa ha intenzione di fare Aung Sang Suu Kyi è un mistero. Non si sa neppure se siederà in parlamento o cederà il posto ad altri membri del suo partito. I giochi sono tutti aperti. Molti sperano sia il prossimo presidente del paese, ma un articolo della Costituzione approvata lo scorso anno dal nuovo governo retto dal presidente Thein Sein, un ex generale, vieta la massima carica ai cittadini che abbiano sposato uno straniero ed è proprio il caso di Suu Kyi. Per non parlare del fatto che la medesima Costituzione garantisce un terzo delle cariche a partiti che siano espressione politica del settore militare.
Sono i militari per altro che continuano a mantenere il controllo dell’esportazione del tek, l’estrazione del petrolio, del commercio di gemme e droghe e non vedono l’ora, come le multinazionali americane, europee e asiatiche, che siano tolte le sanzioni economiche. Servono anche a quello queste elezioni, anche se si tratta solo di supplettive. E infatti la Ue ha già promesso che se ne parlerà a Bruxelles alla fine di marzo. La Birmania potrebbe diventare una manna per imprese dedicate a infrastrutture, energia, commercio e ogni genere di attività . Oggi metà della rete stradale, 24 mila chilometri, non è asfaltata, la ferrovia, meno di 6 mila chilometri, è a scartamento ridotto e ci si mettono 12 ore a fare 600 chilometri con un treno espresso e i treni normali possono subire ritardi anche di 14 ore). Da ieri a Yangon c’è la limitazione energetica che si traduce in un black out applicato nei diversi quartieri a rotazione. Sopravvive chi ha un generatore o abita vicino a qualche magnate e perciò viene graziato dal provvedimento legato alla siccità dei bacini dei due laghi artificiali di Law Pi Ta nello stato Kajah e quello di Ye Ywar nella zona di Mandalay. La sospensione durera fino alle piogge di giugno .
Il modello cinese fa paura
Insomma se si apre il mercato, da fare ce n’è. Molti temono uno sviluppo modello cinese. Su un sito un birmano espatriato ironizza: «Vogliamo diventare come la Thailandia e girare con i vestiti di Armani?». Preoccupazioni simili, in chiave meno ironica, le ha espresse anche il premio Nobel per l’economia Joseph Stieglitz, che convinto che in Birmania sia in corso una primavera araba, due settimane fa, oltre a una conferenza più ufficiale a Yangon organizzata dalle Nazioni unite, ha tenuto un incontro con soli birmani e ha parlato loro del rischio di una globalizzazione selvaggia. I birmani per altro sperano solo che la vita migliori. Oggi guadagnano in media meno di 36 euro al mese, mentre gli affitti delle case a Yangon raddoppiano e operatori finanziari girano con le planimetrie di terreni da vendere ai cinesi.
Così anche molti birmani si augurano la fine delle sanzioni. A condizione che vengano liberati i prigionieri, dicono le associazioni umanitarie tra cui Amnesty international. Secondo l’associazione per i prigionieri politici birmani che ha sede in Thailandia sarebbero quasi un migliaio le persone ancora incarcerate per la loro fede politica. Soprattutto insistono che si aspettino le elezioni generali del 2015 per decidere se togliere o meno le sanzioni. Insomma capire se questa prova di democrazia è reale o fittizia. Ma è probabile che i mercati non abbiano voglia di aspettare tanto tempo.
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