by Editore | 12 Aprile 2012 9:01
Paolo Bosusco sarà rilasciato dai suoi rapitori attraverso «un processo democratico». Non è chiaro cosa ciò significhi, né se sarà davvero l’ultima parola, nella confusa trattativa per la libertà del tour operator rapito da un gruppo maoista il 14 marzo scorso, in un distretto remoto dell’Orissa, in India. L’ultimo audio-messaggio di Sabyasachi Panda, capo del partito maoista in Orissa, è stato diffuso all’alba di ieri dall’emittente Ndtv.
Panda afferma di aver ricevuto il documento firmato sabato dai cinque negoziatori (i rappresentanti del governo dell’Orissa e i due attivisti per i diritti umani a cui i maoisti hanno dato la propria fiducia) e di aver preso visione degli impegni assunti dal governo in cambio della liberazione dell’ostaggio. Non dice, ma deve aver ricevuto anche le precisazioni che chiedeva circa i nomi delle persone che il governo dovrà rilasciare, con l’impegno a non riarrestarle con nuove imputazioni (ad esempio sua moglie Mili Panda, scagionata e scarcerata martedì). Sembra anche sventato il pericolo di un intervento della polizia durante il rilascio, diceva ieri sera l’ambasciatore d’Italia in India, Giacomo Sanfelice, a Bhubaneswar (capitale dell’Orissa) per seguire la vicenda: così gli ha garantito l’ufficio del chief minister (capo del governo locale), Naveen Patnaik.
Ora è lecito sperare che l’epilogo sia vicino, anche se cosa significhi «processo democratico» è lasciato all’immaginazione: sarà consegnato ai nativi perché lo accompagnino a valle? Subirà un «processo del popolo» come l’altro ostaggio in mano ai ribelli, il deputato statale Jhina Hikaka?
Infatti il rapimento di Paolo Bosusco (e Claudio Colangelo che viaggiava con lui, rilasciato senza contropartite pochi giorni dopo) è intrecciato ad altri due eventi. Uno è l’offensiva militare avvenuta proprio nei giorni del rapimento degli italiani in un’ampia zona di foresta chiamata Abujimard, nel confinante stato di Chhattisgarh, circondata dalla mitologia di «impenetrabile» roccaforte di maoisti – deve aver messo sotto pressione i ribelli. L’altro è il rapimento di un deputato del partito al governo in Orissa, preso il 24 marzo mentre viaggiava nel remoto distretto di Koraput, suo collegio elettorale.
Koraput non è vicinissimo a Khandamal, il distretto dove è stato preso Bosusco, e i due rapimenti sono opera di rami scollegati del partito maoista; nel caso del deputato è un gruppo emanante dal confinante (a sud) stato di Andhra Pradesh. Si parla perfino di attriti tra i due gruppi (smentiti però dal vertice del partito ribelle). Ma anche se non immediatamente collegate, le due trattative parallele hanno pesato l’una sull’altra – se non altro perché il governo si è trovato sotto multiple pressioni, inclusa quella della polizia che protesta contro la scarcerazione di militanti ribelli (i giornali locali riferiscono che i commissariati periferici vivono nel terrore di rappresaglie).
Per il deputato Hikaka le cose sono complicate. Sembra che durante un «processo del popolo» organizzato dai maoisti la settimana scorsa abbia dovuto rispondere a un fuoco di recriminazioni degli abitanti nativi, invitati dai maoisti: gli hanno rinfacciato le molte promesse di sviluppo fatte dal suo governo e non mantenute (ne riferisce il magazine Tehelka in una corrispondenza dal terreno). Hikaka, 35 anni, è lui stesso un adivasi, (nativo, o «tribale» come si usa dire in India), eletto per la prima volta al parlamento statale. Al «processo» è stato visto con i piedi gonfi dal gran camminare (per non essere rintracciati i suoi rapitori si muovono di continuo). Per il suo rilascio i maoisti tra l’altro hanno chiesto (e ottenuto, pare) la scarcerazione di 15 persone appartenenti a un sindacato rurale di adivasi che la polizia considera un’organizzazione «frontista» dei ribelli, quindi fuorilegge. Non solo. Sembra che in quel «processo del popolo» siano stati evocati gli impegni presi dal governo dell’Orissa un anno fa un cambio del rilascio di un amministratore locale (collector) del vicino distretto di Malkangiri – stessa regione di foreste e miniere di bauxite – e non mantenuti: fermare la distruzione delle foreste a causa delle miniere nel Koraput, riconoscere lo status di «tribù registrate» a due popolazioni della zona, distribuire terre (e relativi titoli) agli sfollati a causa di progetti minerari o altro. Accusano: almeno 400 tribali restano in carcere con imputazioni pretestuose nonostante la promessa del governo di riesaminare i loro casi.
Da queste rivendicazioni emerge un quadro non lusinghiero per il governo: risistemare gli sfollati, fermare la deforestazione, provvedere al welfare in regioni poverissime (benché ricche di giacimenti minerari), scarcerare gente in galera con false accuse, sono questioni su cui uno stato democratico dovrebbe trovare termini di mediazione politica. Ma il chief minister Patnaik non è famoso per la sua attenzione alle politiche sociali.
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