by Editore | 10 Aprile 2012 7:25
MILANO – «Ti ho dato un’occasione, e l’hai buttata nel cesso. Hai fatto casino, le macchine, gli amici balordi, la storia dei soldi. Io ti ho sempre difeso, ma ora basta: la faccia, adesso, ce la metti tu. Vai, e ti dimetti». Uno davanti all’altro. Padre e figlio. L’Umberto furioso – il druido padano tradito e ferito – e Renzo detto il Trota, come l’aveva soprannominato papà , forse era già tutto scritto in quell’epiteto indelebile. Castelletto di Gemonio, giorno di Pasqua: nella family va in scena l’ultima resa dei conti. È il doomsday che porta al «passo indietro» di Bossi jr. A quattro giorni da quello del padre.
Il Senatùr si è svegliato di pessimo umore, la sua Lega sta andando a catafascio e questa volta le grane sono in casa. Renzo era avvisato. «Chi sbaglia paga qualunque sia il cognome che porta», aveva ringhiato il Capo (lo chiamano e lo chiameranno ancora tutti così) per smarcarsi dalla Lega di Famiglia e cercare di salvare la Lega Nord. Nel giorno della resurrezione cristiana, Umberto deve fare i conti con la marea montante della base leghista, la rivolta contro «chi ha rubato» e «infangato» il Carroccio. Ha pesato l’avvertimento via Facebook di Maroni («oggi è Pasqua, la colomba va bene, ma solo fino a domani… Pulizia pulizia pulizia»); sa che i colonnelli e i militanti vogliono la testa di Renzo e dell’iper badante Rosy Mauro, e che non molleranno finché le teste non cadranno.
Il vecchio leone è costretto a giocare d’anticipo. Prima del raduno di Bergamo di questa sera. «La pulizia è già in atto, c’è già chi la deve fare». Il nuovo triumvirato? Forse, ma prima ancora tocca a lui, al segretario federale uscente, neo presidente, prendere in mano la scopa e «pulire il pollaio». Nella sala da pranzo di casa Bossi il clima non è proprio pasquale. Il Senatur è appena rientrato, si era fatto portare in chiesa a Varese per la Messa: solo, senza famigli, i ragazzi della scorta e basta. Renzo lo aspetta a tavola. Sa già cosa lo attende. La notte prima Umberto ha parlato a lungo con la moglie, Manuela Marrone, considerata la reggente dell’ormai afflitto «Cerchio magico» di Gemonio, il sodalizio familiare che ha trascinato la Lega negli abissi.
È lei il primo sponsor di Renzo. Lei insistette col marito perché facesse entrare il Trota nell’acquario della politica («non hai mai fatto niente per la famiglia», lo rimproverò pubblicamente una sera ai tavolini del bar Belvue di Laveno). Un modo per affermare che il Carroccio è cosa loro, dei Bossi, per far pesare la golden share della famiglia sugli equilibri della balena verde padana. E avvertire chi «ti vuole portare via la Lega». «Renzo si deve dimettere», le ha intimato Umberto l’altro giorno. Raccontano di un confronto acceso, come altri ce ne erano stati ma in fondo, adesso, la partita che si gioca (anche) sul figlio è quella finale.
Ancora una volta Manuela avrebbe cercato di far prevalere le ragioni del cuore. Ma il marito non ha mollato. Rovesciato dal contrappasso del nepotismo, il boss leghista non può esporsi a un cappotto. Sarebbe un pessimo epilogo per una storia dall’esito già inglorioso. Eccoli dunque, Umberto e Renzo, uno di fronte all’altro. «Hai combinato troppi casini – gli rimprovera il padre – Io ti ho sempre difeso davanti a tutti, ma adesso basta. Altrimenti mi mangiano vivo e viene giù tutto. Ci devi mettere la faccia tu, domani (ieri, ndr) annunci le tue dimissioni». Chi conosce bene Renzo racconta che il ragazzo è capace di fare spallucce di fronte a tutto tranne che alle critiche e agli ammonimenti del padre. «Era molto influenzato da lui, addirittura direi che la figura paterna dava noia alla relazione», ricorda Elena Morali, ex fidanzata del Trota. La quale, però, ha anche aggiunto che il rampollo leghista, tra auto di lusso, ville, locali vip e scorribande notturne, aveva uno stile di vita che al Senatùr «dava fastidio».
Non ha fiatato, Renzo, quando gli è stato posto l’aut aut. Forse avrebbe voluto, ma non ha osato. «Mi dimetto da consigliere, do l’esempio senza che me lo abbia chiesto nessuno», annuncia a Tgcom24. Aggiunge che è sereno, che sa cosa ha fatto e cosa non ha fatto. È qui il punto. Secondo le carte giudiziarie, e adesso anche secondo un video documento del suo autista, «ha fatto». Indifendibile, ormai. Anche per un padre che in passato, e fino a due giorni fa, aveva gettato il cuore molto oltre l’evidenza. «Sta studiando, mi ha fatto vedere gli esami sul libretto», chiosò quando il Trota era già diventato l’obiettivo preferito dei barzellettieri italiani. Renzo è quello che avrebbe falsificato i libretti universitari, e del resto il padre, che ha creduto alle bugie del figlio, venne lasciato dalla prima moglie quando lei scoprì che invece di andare a fare il medico, non essendosi mai laureato, usciva con la valigetta per andare al bar. Ha abboccato, Umberto. Come quando disse che quel figlio che non voleva come delfino era però talmente bravo in inglese che «aveva fatto da interprete tra Berlusconi e Hillary Clinton». Arriviamo a tre giorni fa. La macchina che Belsito ha comprato al «principe» coi soldi della Lega? «Renzo mi ha detto che la sta pagando in leasing, abbiamo le prove», lo ha difeso ancora una volta cuore di papà . Ieri, dopo il cazziatone di Pasqua con ordine di dimissioni immediate, l’ultima bugia bianca del babbo. «Bravo. Ha fatto bene, era stanco di stare in Regione, da due o tre mesi mi diceva che in quel posto non stava bene».
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