Il diciassettenne ucciso in Florida

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NEW YORK — All’inizio, complici le festività  pasquali che hanno diradato la copertura delle news e distratto l’attenzione del Paese, i tre morti e i due feriti afroamericani dell’Oklahoma sembravano crimini slegati tra loro. Mere schegge nell’inarrestabile scia di omicidi che ogni giorno insanguinano l’America a causa delle troppe armi. 
Ma ieri mattina, quando un giudice del tribunale di Tulsa ha posto una cauzione da quasi 10 milioni di dollari ciascuno al 19enne Jacob England e al 32enne Alvin Watts — entrambi bianchi su cui adesso pende l’accusa di omicidio plurimo volontario di primo grado — l’America di Twitter e Facebook si è raccolta intorno ad un unico, terribile incubo che l’ha fatta ripiombare indietro al tempo dei linciaggi del KKK e delle famigerate «cacce al nero». Nella notte tra giovedì e venerdì i due assassini, a bordo di un pickup, si sono fermati nel quartiere di North Tulsa, abitato in maggioranza da neri, con la scusa di chiedere informazioni ai passanti, prima di estrarre una pistola e sparare a casaccio per poi fuggire a tutta velocità . Un episodio ripetutosi a due riprese, in due luoghi a pochi chilometri di distanza.
Alla fine della mattanza il bilancio è agghiacciante: tre morti — Dannaer Field, 49 anni, Bobby Clark, 54, e William Allen, 31 — e due feriti gravi. Dopo un’impressionante caccia all’uomo che ha visto la mobilitazione della polizia e dell’Fbi, grazie a una soffiata sono stati fermati i due sospettati che ieri sera hanno confessato. E con il provvidenziale aiuto degli onnipresenti social media gli inquirenti hanno capito subito la natura del crimine che stavano investigando.
Meno di 24 ore prima della strage i due avevano infatti postato messaggi e insulti apertamente razzisti sulle loro pagine di Facebook. Si è così scoperto che England, il più giovane, progettava da tempo un’azione punitiva contro i neri per vendicarsi della morte del padre, ucciso in una sparatoria avvenuta due anni fa, per la quale è stato incriminato un afroamericano. La modalità  degli omicidi (vittime a caso) conferma che il folle piano di «dare una lezione alla comunità  nera» è andato tragicamente in porto. 
Quest’ultima, terrificante tragedia arriva a sole sei settimane dalla morte di Trayvon Martin, il 17enne nero ucciso in Florida da un vigilante volontario bianco che ha affermato di «sentirsi minacciato» dal ragazzo, disarmato, solo perché indossava un cappuccio. Dalle prime pagine dei grandi quotidiani e dei Tg, noti editorialisti si attendono nuovi episodi di violenza a sfondo razzista: «Chi sarà  il prossimo?». 
Nel lontano 1921 Tulsa è stata teatro di uno dei più brutali disordini razziali della storia americana durante i quali dozzine di neri innocenti furono trucidati e il quartiere afroamericano più prospero degli Stati Uniti (il Greenwood District, noto come The Negro Wall Street) fu dato alle fiamme e raso al suolo. Il timore, per la comunità  nera che non ha mai dimenticano quella ferita, è un ritorno al passato. 
A sei mesi dalle presidenziali di novembre le tensioni razziali sembrano destinate a svolgere un ruolo significativo nella prossima corsa per la Casa Bianca. In un sondaggio pubblicato tre giorni fa da Newsweek/Daily Beast, il 72% dei bianchi e l’89% dei neri pensa che il Paese sia spaccato in due sul tema della razza. E a quasi quattro anni dall’elezione del primo presidente afroamericano della storia, la maggioranza degli americani (neri e bianchi) ritiene che i rapporti inter-razziali non siamo migliorati o siano addirittura peggiorati. E se il 51% dei bianchi boccia il modo in cui Barack Obama ha gestito i rapporti inter-razziali, l’84% dei neri lo applaude.


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