Il buon giornalismo sulle ali della libertà
«Se in tutti i miei anni da giornalista avessi anche solo contribuito a liberare un innocente dalla prigione, allora ne sarà valsa la pena». Michele Catanzaro è un giornalista italiano che vive da 8 anni a Barcellona. Dottorato in fisica, è solo un collaboratore del Perià³dico de Catalunya, ma la sua è ormai una firma conosciuta, non solo per i sempre precisi articoli su temi scientifici che scrive. Assieme al collega Antonio Baquero (redattore del giornale), ha seguito fin dall’inizio con passione il «caso à“scar», usando la sua meticolosità scientifica per districarsi fra fascicoli giudiziari e perizie. «Dopo aver ricevuto la lettera, ci mettemmo al lavoro cercando di capire chi era à“scar. Mettemmo insieme i suoi cedolini dello stipendio, raccogliemmo testimonianze e ci convincemmo che, nei giorni in cui lui secondo l’accusa era in Italia, in realtà era al lavoro», racconta Catanzaro. «La storia ci piaceva perché se anche à“scar fosse stato colpevole di un crimine tanto importante, sarebbe stato interessante scoprire come aveva ingannato tutti per tanti anni in modo così clamoroso».
Una storia, aggiunge, che dimostra un problema più generale rispetto al mandato di cattura europeo: «E’ certamente utile per bloccare i crimini di mafia perché automatizza il meccanismo di estradizione. Ma tutti i giuristi che abbiamo sentito ci dicono che dovrebbe essere stabilito un meccanismo altrettanto efficiente per la scarcerazione nei casi di errori come quello di à“scar. È assurdo che lui sia rimasto quasi nove mesi in carcere quando giudice e pubblico ministero erano al corrente di tutte le prove della sua innocenza».
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