Il 25 aprile nella crisi

by Editore | 26 Aprile 2012 8:11

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MILANO – Non basta piazza Duomo per il 25 aprile. Ok, questo lo sappiamo, va sempre a finire così, ma questa volta non possiamo solo continuare a farci i complimenti a vicenda. Per la precisione, quando 50 mila persone tornano sui loro passi a comizio finito, ce ne sono altrettante che sono ancora in coda a mezzo chilometro dal palco. Eppure, sarà  il «rigore» tutto milanese per i conti, questa piazza viene sempre sottostimata, anche dagli adetti ai lavori che ci vedono lungo. E questa volta ancora di più. Come è possibile che il corteo più grande e importante di questo anno orribile possa essere derubricato a una semplice e bella giornata di festa o a quattro fischi?
Eppure la parola d’ordine di questa strana edizione – la «prima» di Giuliano Pisapia, il sindaco che a poche ore dalla sua vittoria andò subito a salutare la partigiana Nori Brambilla Pesce – era stata lanciata con una certa chiarezza. Forse in maniera poco incisiva, ma comunque la capitale della Resistenza ieri avrebbe dovuto battere un colpo contro la crisi, per difendere il lavoro e rivendicare equità  e giustizia sociale. Un’intenzione molto politica, che però inspiegabilmente ancora adesso non riesce ad individuare un obiettivo, una prospettiva, una controparte cui indirizzare la forza e la rabbia di una piazza come questa. Nonostante il governo di Mario Monti stia portando un attacco durissimo proprio contro le persone che erano in manifestazione. L’anno scorso, per esempio, era evidente che il 25 aprile milanese dovesse liberare la strada per la vittoria di Pisapia, e magari sognare anche la caduta di Silvio Berlusconi. 
Senza il Cavaliere forse non si riesce più ad innescare la scintilla? Ancora non è abbastanza chiaro quale tipo di stravolgimento è in atto alla fine di questa seconda Repubblica, e per colpa di chi? Eppure Susanna Camusso ieri lo ha detto chiaramente dal palco citando più volte l’articolo 1 della Costituzione: «Non si può parlare di democrazia senza parlare di lavoro, una politica fatta solo di rigore ci allontana dalla democrazia, stiamo negando il futuro a due intere generazioni». Applausi. Ripetuti più volte. Ma senza spellarsi le mani. Del resto, anche il segretario generale della Cgil, che pure chiaramente si è rivolta al governo (citandolo però una sola volta), ha preferito non fare nomi e cognomi. E questa assenza di parole chiare si è rispecchiata in una manifestazione enorme ma piuttosto disorientata. Forse mancava la scossa, il filo conduttore che sempre fa del 25 aprile milanese la cartina di tornasole di ciò che si muove nella pancia di tutte le sinistre. Non c’era un solo cartello autoprodotto che facesse riferimento al governo. Strano. In una fase così delicata e di crisi che già  morde nella carne (ci si suicida tutti i giorni) non era un corteo «contro». Non contro le banche, o la corruzione, o il malcostume dei partiti… La sensazione è che la parte migliore del paese – questo è il 25 aprile – sia ancora sotto botta. Non era «contro», ma non aveva neppure un minimo comune denominatore che tenesse tutti insieme, al di là  della memoria condivisa e della voglia di manifestare.
Allora stiamo parlando di una brutta manifestazione? Esattamente il contrario. Alzi la mano chi ieri ha deciso di restarsene a casa. Nessuno. C’erano tutti, inutile fare l’elenco. Ogni spezzone con in mano il suo volantino, a raccoglierli in un volume sarebbe il programma già  scritto di una sinistra che non c’è. Qui, invece, non solo è doveroso ma è anche bello esserci. E però che cosa tiene insieme il Pd e i marxisti leninisti, l’Anpi e i No Tav, l’Acli e le lesbiche, il movimento per l’acqua e quello contro i centri di detenzione per stranieri, il coro Le Voci di Mezzo e i giovanissimi redskins, il centro sociale Il Cantiere e la Cgil? Per non scomodare il solito teatrino tra gli amici della Palestina che contestano la brigata ebraica… Per quanto ancora non sufficiente, una traccia molto importante è venuta dal comizio finale. Certo, non ci vuole molto per sentirsi uniti ed applaudire Giuliano Pisapia e Susanna Camusso, e neppure fischiare senza drammi il presidente della Provincia Podestà  e il rappresentante della Regione che fa morir dal ridere quando cita Formigoni, «ma piantala…».
Il sindaco di Milano, commosso, ha provato a buttarla in politica, ma come sempre con toni da signore: «Chi ci governa non può non tenere conto dell’equità , non si può scaricare la crisi sui soliti, sui lavoratori, non possiamo accettare che i ricchi siano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri… E non possiamo accettare che il Mediterraneo sia un mare di morte, la tomba di chi scappa dalla guerra e dalla povertà ». Insomma: «Questa non può essere solo il giorno delle corone di alloro e delle bandiere gloriose, la liberazione deve essere un’azione quotidiana». Sono parole che potrebbero benissimo essere pronunciate da Mélenchon, per dirne uno che sta riuscendo ad unire la sinistra radicale (francese). Ma è alla segretaria della Cgil che è toccato il compito di riportare la celebrazione a una dimensione drammaticamente quotidiana, dopo aver percorso il corteo ripetendo che «Monti non sta facendo un buon lavoro perchè ha annunciato un programma di rigore e crescita e vediamo solo il rigore». Dal palco, ha ringhiato in difesa dello statuto dei lavoratori e contro i licenziamenti illegittimi: «Noi vogliamo il reintegro». Ha espresso un concetto elementare che da solo dovrebbe scatenare le persone e orientarle nell’unico verso giusto: «Non è possibile che si tassi di più chi è in cassa integrazione piuttosto di chi vive di rendita». Susana Camusso ha ricordato che i lavoratori hanno salari sempre più bassi e, dunque, per restare alla cronaca, è inutile tenere i negozi aperti il 25 aprile perché i consumi inevitabilmente diminuiscono. «Negli ultimi anni è stato inventato il concetto di lavoro povero, e certo questo non era nei piani di chi quasi settant’anni fa ha scritto la Costituzione».
Basta questo per dire che il primo 25 aprile senza Berlusconi in fondo è stata la prima grande manifestazione contro Monti? In teoria sì, eppure c’è qualcosa che non funziona se il messaggio fatica a passare.

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