by Editore | 11 Aprile 2012 6:11
ROMA – Non sarà la prima azienda, né l’ultima, a spostare la produzione dove più conviene. Ma è una delle poche a preferire l’Italia alla Cina, e non viceversa. Per questo le parole di Lars Petersson, amministratore delegato di Ikea nel nostro Paese, suonano inedite: «Di recente abbiamo individuato nuovi fornitori italiani che hanno preso il posto di partner asiatici», ha spiegato ieri. «Sanno produrre articoli di qualità migliore e a prezzi più bassi». Per poi ribadire in serata, ai microfoni di Radio24, che nel Paese il gruppo vuole investire ancora, nonostante alcuni ostacoli: «Non l’articolo 18, ma i tempi incerti della burocrazia e della politica».
In Italia il colosso svedese già conclude l’8% dei suoi acquisti globali. Terzo fornitore mondiale, dietro a Cina e Polonia, e primo nel settore delle cucine. Una percentuale destinata a crescere dopo gli ultimi accordi, che coinvolgono produttori piemontesi. Manuex, azienda di Biella, è nata lo scorso anno e lavora solo per Ikea: «Facciamo cassetti», racconta l’amministratore delegato Giancarlo Formenti. «Al momento impieghiamo 100 persone, ma saranno 200 a fine anno, quando avremo avviato tutte le linee. A regime ci aspettiamo un fatturato di 40-50 milioni di euro». E in Piemonte sono altre due le intese annunciate dal colosso svedese: con un’azienda di Verbania per l’acquisto di rubinetti, e una di Novara per la fornitura di giocattoli.
«Il mondo cambia», commenta Giancarlo Corò, professore di Economia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, esperto di mercati globali. «La manodopera in Asia è diventata più costosa e il caro petrolio incide sui costi di trasporto: produrre in Cina non è più così conveniente». Ma invita alla prudenza: «Non si può parlare di una tendenza generale. Per Ikea l’Europa è il primo mercato, questo pesa nella scelta». E la sua domanda di mobili si è incontrata con le difficoltà del settore in Italia: «L’alto di gamma ha subito molto la crisi», continua Corò, «così per molti subfornitori convertirsi alla grande distribuzione è stata l’unica strada per sopravvivere».
Al momento sono 24 le aziende italiane che vendono a Ikea, per un indotto di circa 1 miliardo di euro e 2.500 posti di lavoro. «Questo da tempo fa del gruppo svedese il primo cliente della filiera italiana dell’arredo», si legge in una nota della società . Le prime tre regioni italiane in cui Ikea compra corrispondono ai maggiori distretti del settore: il Veneto conta per il 38%, seguono il Friuli con il 30% e la Lombardia con il 26%, nel complesso numeri più grandi che in Svezia o Germania. «Noi abbiamo iniziato nel 1997», racconta Luca Corazza, direttore commerciale della pordenonese Friulintagli. «Fatturiamo con Ikea 300 milioni di euro, tre quarti delle nostre entrate annuali. Realizziamo per loro camere, cucine e soggiorni». Il boom delle richieste dal 2004 in avanti: «Da allora cresciamo in media del 16% all’anno. Oggi lavorano per noi 1.100 persone».
La presenza crescente di Ikea in Italia si misura nel numero dei punti vendita. Saliti a 19 quest’anno e destinati a diventare 20 nel 2012, con l’apertura di un nuovo megastore vicino a Pescara. Per riempire quegli scaffali la società chiederà ancora di più ai suoi partner italiani, articolo 18 o no: «I contratti attuali non sono flessibili, ma noi cresciamo insieme alle persone con cui lavoriamo», ha concluso Lars Petersson. «Le aziende italiane hanno dimostrato di essere molto flessibili rispetto alle nostre richieste».
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