I marò interrogati: “Rispondiamo solo all’Italia”
BHUBANESWAR – Tutto da rifare, la Enrica Lexie resta prigioniera nell’Oceano indiano con il suo equipaggio e i suoi marò. L’Alta Corte del Kerala ha annullato per ragioni procedurali la sentenza favorevole alla petroliera italiana emessa la scorsa settimana da un giudice di primo grado, contro la quale avevano fatto appello le famiglie dei pescatori uccisi: la nave non può salpare, è condannata a rimanere ormeggiata nel porto indiano di Kochi con le 27 anime che ospita.Secondo i magistrati, la richiesta di dissequestro andava rivolta al tribunale locale di Kollam che lo aveva decretato, e solo in un secondo tempo si sarebbe eventualmente potuto fare ricorso all’Alta Corte. Un pasticcio che costa carissimo, e non solo all’armatore: «Stiamo seguendo con attenzione – dice il sottosegretario Staffan De Mistura, tornato in India domenica – anche la situazione degli altri quattro militari italiani e dei civili a bordo della Enrica Lexie. Il comandante Umberto Vitelli e i nostri fucilieri sono considerati persone informate dei fatti, e per questo devono rimanere a disposizione delle autorità indiane». Prigionieri di fatto tra le lamiere infocate della petroliera, anche se contro di loro non c’è alcun provvedimento restrittivo: una sorte che condividono con gli altri marinai civili, quattro italiani e diciannove indiani.Né va meglio ai due marò rinchiusi nel carcere di Trivandrum, il maresciallo Massimiliano Latorre e il sergente Salvatore Girone: ieri gli inquirenti indiani sono andati a trovarli in prigione con i taccuini spianati, per un interrogatorio autorizzato dal giudice che lunedì ne aveva prorogato il fermo. Li hanno bombardati di domande sulle armi e la balistica, ma «a ogni tentativo di interrogarli – dice De Mistura – hanno ripetuto su nostra indicazione: siamo soldati italiani e non rispondiamo perché non riconosciamo la vostra giurisdizione”. Secondo la stampa indiana, intanto, la perizia sulle armi sequestrate ai marò italiani a bordo della petroliera non avrebbe identificato fucili compatibili con i proiettili che hanno ucciso i due pescatori, ma gli inquirenti sospettano che gli italiani abbiano distrutto o fatto sparire l’arma da cui sono partiti i colpi fatali.
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