I caffè viennesi sfrattano il «moro in camicia»

by Editore | 2 Aprile 2012 7:21

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Sarebbe ora di cambiare menù. Perché quelli dei caffè viennesi — dice l’associazione dei gastronomi austriaci — non sono al passo non già  con la stagione primaverile, ma con i tempi che corrono. Si può mai continuare a servire, sugli eleganti tavolini del Graben, la Zigeunerschnitzel (la «cotoletta dello zingaro»), il Negerbrot («il pane del negro») e il Mohr im Hemd (il moro in camicia), senza incappare nell’accusa di essere politicamente scorretti e di perpetrare pregiudizi razzisti? 
No, non si può. E pazienza se le tre specialità  (rispettivamente, scaloppina con i peperoni, l’amata cioccolata con le nocciole e un budino con la panna) fanno parte dello spirito austriaco quanto il walzer. Anzi, sono proprio l’espressione — più popolare e quindi, sì, grossolanamente e autenticamente scorretta — di quello che è stato l’impero: un miscuglio di popoli (turchi, «mori», slavi, ungheresi) che per qualche secolo hanno intrecciato traffici, abitudini e ricette. 
Solo che, nell’Austria post haideriana con il nervo tutt’ora scoperto e sensibile alle accuse di xenofobia, anche una direttiva dei gastronomi, sfuggita un po’ di mano ai suoi organizzatori, può scatenare un putiferio. «Volevamo affrontare la questione in modo interno — ha spiegato a Le Monde il responsabile dell’associazione dei ristoratori Gernot Liska —, tra l’altro molti caffè hanno già  modificato i menu. Ma l’associazione SOS Mitmensch (che si occupa di lotta al razzismo, ndr) ha reso la cosa pubblica, e siamo stati sommersi di messaggi che ci accusano di essere razzisti». 
Sulla vicenda sono saltati alcuni quotidiani orgogliosamente tradizionalisti, come la Kronen Zeitung, definita con i suoi quasi tre milioni di lettori (su nove milioni di abitanti) il quotidiano più «influente del mondo», più della Bildtedesca o dell’inglese Sun: e come dobbiamo chiamarlo il moro in camicia — ha titolato il giornale — «Othello?». Non si è tirata indietro neppure la stampa più istituzionale: la Presse ha criticato la «lobby paternalista» dei «professionisti dell’indignazione». Né si sono risparmiati i politici. Un dirigente della Fpච— l’estrema destra che era andata al governo con Jà¶rg Haider portando al ripudio europeo del Paese e alle sanzioni, e che insiste con un’agenda anti immigrati — si è chiesto se la purga semantica ora deve cambiare anche i titoli alle opere di Strauss: e come chiamarlo, allora, il Zigeunerbaron
Eppure a Vienna c’è stata anche una mobilitazione in senso opposto. Il chitarrista jazz Harri Stojka, grande nome della comunità  rom, si è fatto fotografare negli stessi caffè sotto accusa con una maglietta: «Sono contro la parola zigano (Zigeuner, appunto)». Il leader del gruppo Sos Mitmensch, Alexander Pollack, ripete che «i nomi sono portatori di un’identità  collettiva». E va bene che gli austriaci — che per difendere la propria specificità  e distinzione dai tedeschi hanno condotto una battaglia in Europa per poter chiamare la patata Erdapfel e nonKartoffel — ci tengono all’identità : ma Vienna dai tempi in cui il «moro» Angelo Solimano, un ex schiavo, era una celebrità  alla corte asburgica e il caffè Julius Meinl sceglieva come suo logo l’immagine di un «negretto», è cambiata parecchio.

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