Governo di incapaci, migliaia di esodati e ora dubbi anche sull’Imu

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Per mettere a fuoco la situazione che si profila è necessario fare un passo indietro sino al 2008, l’inizio della crisi, quando Berlusconi e il suo governo si limitavano a nascondere nascondere la polvere sotto il tappeto negando addirittura che ci fosse una crisi. In quella prima fase della crisi le aziende reagirono cercando di accollarne i costi all’anello più debole, cioè ai precari. Moltissimi contratti a termine non furono rinnovati. I lavoratori che sino a quel momento avevano goduto di una posizione lievemente più stabile, precipitarono a loro volta nella condizione di precarietà  estrema, in una sorta di scala mobile verso l’abisso.

Quelle misure hanno reso ancora più drammatica la situazione per milioni di giovani, ma non sono state sufficienti. La crisi è proseguita, gli ordini sono calati del 30% e passa, le aziende hanno dovuto far ricorso a un altro strumento estremo. Stavolta, almeno dove erano presenti strutture sindacali, hanno puntato sugli esuberi in massa e hanno avviato ovunque quel percorso infernale cassa integrazione-cassa integrazione straordinaria-mobilità  il cui risultato figura quotidianamente sui bollettini di guerra delle statistiche riportate da siti e giornali. La disoccupazione è alle stelle e le casse integrazione si moltiplicano: solo nel febbraio scorso sono aumentate del 49% rispetto al mese precedente.

Oggi la crisi è tutt’altro che conclusa, ma le aziende non possono più pensare di fronteggiarla ricorrendo a quei due dispositivi di cui hanno già  fatto largamente uso e abuso. Si apprestano quindi a mettere in campo il grande strumento della ristrutturazione: l’espulsione dal processo produttivo dei lavoratori più anziani. Nel settore manifatturiero, ma anche in quelli dell’edilizia e agrario, gli imprenditori chiedono di mandare via i lavoratori a partire dai 59 anni se non prima.

Alla fine del 2011 il governo Monti ha allungato l’età  pensionabile, che ora arriva in media all’età  di 67 anni. La riforma del mercato del lavoro da un lato renderà  più facile mettere alla porta quei lavoratori, dall’altro li lascerà  quasi senza protezione, dal momento che l’Aspi coprirà  solo 18 mesi di disoccupazioneal posto dei quattro anni garantiti dagli ammortizzatori sin qui adoperati. Si tratta di un combinato disposto micidiale: i lavoratori licenziati saranno infatti privi di copertura e di fatto senza possibilità  di essere rioccupati ma con il traguardo della pensione spostato in là  di alcuni anni nei quali si troveranno senza alcun reddito.

E’ urgente mettere a punto con massima tempestività  un rimedio per la tragedia sociale che si sta preparando. Una proposta presentata già  qualche tempo fa, con palese lungimiranza, dall’Italia dei Valori indica la strada che si deve seguire per evitare che questo “terzo gradino” della ristrutturazione sortisca esiti persino più devastanti di quelli precedenti.

Proponiamo di ridurre l’orario di lavoro per i lavoratori con maggiore anzianità  e adibiti a mansioni specifiche, in particolare quelle più stancanti,e di affiancargli giovani apprendisti che dovrebbero essere debitamente assunti all’uopo. In questo modo alla graduale riduzione dell’orario di lavoro per le persone più anziane si accompagnerebbe il contestuale ingresso di giovani lavoratori, ai quali quelli “a tempo ridotto” farebberoda tutor nella fase di apprendistato.

A questo fine si può adoperare uno strumento già  esistente e ben regolato dalla legge, anche se praticamente mai usato. Il “contratto di solidarietà  espansivo” prevede agevolazioni per le imprese che avviano “una riduzione stabile dell’orario di lavoro e della retribuzione e la contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale”. Se lo si adoperasse per integrare e riformare gli attuali e già  largamente usati “contratti di solidarietà  difensiva”, si offrirebbe alle aziende la possibilità  di governare il processo di ricambio e riqualificazione della manodopera senza dover aumentare i costi. In concreto, se due lavoratori anziani passassero da 8 a 4 ore di lavoro quotidiano, il contratto di solidarietà  espansivo gli offrirebbe una retribuzione pari a 7 ore lavorative e l’azienda potrebbe quindi assumere un giovane apprendista per 8 ore.

Il problema purtroppo è nel manico, cioè nel disinteresse di questo governo per soluzioni diverse dall’accetta neoliberista imposta dall’Europa delle banche e della finanza. La realtà  è che quelle soluzioni non sono affatto obbligate. Le alternative ci sono, ma per tramutarle in realtà  occorre farle diventare programma di una coalizione oggi e di un governo davvero nuovo domani.


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