GOVERNI TOSSICI
Spiega l’Fmi: «Durante i cinque anni precedenti il 2007, il rapporto tra debito e reddito delle famiglie è cresciuto a massimi storici sia nei Paesi avanzati che in alcune economie emergenti». In particolare, nelle economie avanzate, nei cinque anni prima del 2007, il rapporto debito/reddito delle famiglie è cresciuto di una media del 39% al 138%. E’ una affermazione importante, quella del Fondo monetario, che finalmente fa un po’ di luce sui reali motivi della crisi attuale anche se l’interpretazione rimane un po’ monca.
Il punto centrale, infatti, sarebbe capire perché è cresciuto prima del 2007 l’indebitamento delle famiglie. L’Fmi non lo dice, ma ci sono montagne di dati e statistiche. La causa centrale è che il 2007 è l’anno terminale di un periodo (circa 20 anni) che ha visto peggiorare in quasi tutto il mondo (è uno degli effetti nefasti della globalizzazione) la distribuzione del reddito. In particolare la quota di «prodotto sociale» destinato al lavoro dipendente.
La caduta del reddito per centinaia di milioni di persone non è stata accompagnata da una politica redistributiva attuata dalla mano pubblica che anzi sta progressivamente riducendo il proprio intervento nei settori del welfare.
Risultato: le famiglie si sono progressivamente indebitate per poter mantenere i livelli di consumo, ma anche per potersi costruire una pensione privata, pagare le spese sanitarie, avere un tetto dove ripararsi, pagare l’istruzione universitaria di eccellenza (cioè privata) per i figli.
Poi è esplosa la bolla immobiliare comunemente definita crisi dei mutui subprime. La crisi finanziaria è stata violenta, ma non è stata la causa reale della crisi che invece ha radici nei rapporti di produzione e di distribuzione del reddito, nello squilibrio tradizionale tra sovraproduzione e sottoconsumo.
Per cercare di tamponare la «Grande recessione» sono state riproposte ricette fasulle curando (molto bene, come non era stato fatto nel ’29) gli aspetti finanziari, ma non le cause strutturali. Il risultato è stato un diluvio di denaro a basso costo sul sistema creditizio e l’abbandono al loro destino di decine di milioni di persone.
In altre parole: la crisi finanziaria è stata tamponata ma per l’economia reale e la vita dei cittadini nulla è stato fatto. Anzi, peggio: moltissimi paesi per correggere i conti pubblici erosi dalla crisi e dagli aiuti al sistema finanziario hanno varato manovre correttive – depressive – per cercare di tamponare gli enormi deficit pubblici che si sono formati e che sono state fatte pagare anche da chi non aveva quasi nulla.
Questa è la situazione attuale e non deve destare nessuna sorpresa quello che sta accadendo da parecchi giorni sui mercati finanziari. Ieri per le borse è stata una nuova giornata tragica: a Piazzaffari l’indice principale (il Mib) ha perso quasi il 5% e le quotazioni sono tornate agli stessi livelli del novembre 2011. Ma non va meglio su tutte le altre piazze mondiali, che dopo aver toccato (fino a una quindicina di giorni fa) dei massimi storici o quanto meno dei massimi di periodo, ora hanno ripiegato sui livelli di inizio anno. Il tutto accompagnato – in alcuni paesi – da una risalita dei rendimenti sui titoli del debito pubblico che hanno fatto tornare lo spread tra Btp a Bund attorno ai 400 punti e ancora più in alto lo spread tra Bonos spagnoli e Bund.
La spiegazione di quanto sta accadendo il manifesto l’aveva anticipata meno di 20 giorni fa e partiva da un presupposto semplice: le piazze finanziarie erano state drogate dalla politica monetaria della Fed e della Bce e gli indici non anticipavano affatto quelle che erano le prospettive reali dell’economia mondiale.
In particolare l’iniezione di liquidità attuata dalla Bce (oltre 1.000 miliardi di euro per tre anni all’1% di interesse) aveva provocato una ripresa di interesse delle banche per i titoli pubblici che sono stati acquistati in grande quantità con il risultato di far scendere i rendimenti e gli spread. La caduta dei tassi di interesse aveva reso di nuovo interessanti gli investimenti in borsa e non a caso gli indici salivano ogni giorno. Ma non poteva durare e non è durata.
Oggi si è tornati alla situazione di partenza fatta di prospettive pessime per l’economia mondiale (anche per la Cina) e di licenziamenti di massa (vedi perfino la giapponese Sony) che non aiutano la ripresa dei consumi, ma gettano sempre più in depressione il sistema produttivo. Per il quale – senza la ricerca di alternative – si prospetta una nuova fase di depressione o di stagnazione che allontana i tempi della ripresa, gettando altri milioni di persone nell’inferno della povertà e del disagio sociale.
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