Gli estremismi rimangono fuori (in Italia no)

by Editore | 23 Aprile 2012 11:35

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Non stanno a chiedersi se abbia fatto tutto il possibile per contrastare una situazione internazionale difficile e se gli sfidanti avrebbero fatto meglio di lui, ciò che dovrebbe essere il metro di giudizio di un elettore razionale. Non voglio con questo sostenere che Sarkozy sia stato un buon presidente e mi limito solo a notare che, agli occhi di un italiano, i risultati economici francesi durante la sua presidenza — attraversata dalla più profonda crisi del dopoguerra — sono stati migliori dei nostri.
Tutto questo per dire che la prima sconfitta di Sarkozy non mi sorprende: quando la situazione economico-sociale è penosa per i cittadini al tempo delle elezioni, vale l’inverso della legge di Andreotti: «Il potere logora… chi ce l’ha avuto». Così come non mi sorprende il successo di partiti estremisti e populisti di destra e di sinistra, soprattutto di quelli di destra.
Come primo commento a queste importanti elezioni vorrei limitarmi a due osservazioni: una riguarda il sistema elettorale francese in un confronto con quello italiano, la seconda le ripercussioni di una eventuale vittoria finale di Hollande o Sarkozy per il nostro Paese. In Francia, sia per le elezioni presidenziali, sia per i candidati nelle elezioni legislative — che avranno luogo subito dopo la proclamazione del Presidente — vale un sistema a doppio turno: se non si raggiunge la maggioranza assoluta, i due candidati più votati vanno al ballottaggio due settimane dopo, come i nostri sindaci. Con risultati non ancora completi per il primo, inutile speculare sul secondo turno e quindi su chi sarà  il vincitore di questa sfida all’ultimo voto: tutto dipenderà  da come si comporteranno coloro che hanno votato per i candidati sconfitti, soprattutto i sostenitori di Marine Le Pen, e dalle dimensioni e dalla distribuzione dell’astensionismo. L’osservazione e il confronto con l’Italia riguardano sia il sistema elettorale sia la diversa natura dei partiti francesi e italiani. In Francia, i grandi partiti di destra o sinistra non sono estremisti o populisti: concessioni in questa direzione vengono fatte, ma l’estremismo e il populismo sono caratteri di partiti che al ballottaggio delle presidenziali non possono vincere, e solo una volta uno di loro ci è arrivato; lo stesso avviene nella maggioranza dei collegi elettorali e il Presidente dunque è in grado di costruire un governo omogeneo. Da noi, con entrambi i sistemi elettorali che abbiamo sperimentato nella Seconda Repubblica, la necessità  di costruire le alleanze più grandi possibili ha condotto a inserire estremisti e populisti nelle coalizioni che sostengono il governo, e lo stesso partito leader del centrodestra aveva tratti populistici assai più forti di quelli francesi, con le conseguenze di ingovernabilità  che abbiamo di recente sperimentato.
La seconda osservazione è più importante: quali le conseguenze sul nostro Paese della vittoria dell’uno o dell’altro candidato? Per chi è soprattutto preoccupato delle condizioni soffocanti cui è costretta la nostra economia, del fatto che il rigore si pone oggi in contrasto con la crescita invece di aiutarla, una vittoria di Hollande sarebbe una buona notizia. È vero, potrebbero esserci turbamenti sui mercati, ma la cancelliera tedesca si renderebbe conto, di fronte a un deciso mutamento di politica del suo principale alleato, che concessioni fiscali e monetarie assai più forti sono indispensabili per stimolare la crescita dell’Europa e salvare il suo sistema monetario.

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