Giovani ufficiali alle corde

by Editore | 3 Aprile 2012 7:03

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È esattamente lo scenario che i giovani ufficiali guidati dal capitano Sanogo volevano scongiurare con il golpe del 22 marzo. La disfatta dell’esercito a questo punto è anche diplomatica, dal momento che le pressioni internazionali per un ritorno del potere in mani civili hanno convinto i militari a ripristinare l’ordine costituzionale e ad annunciare «elezioni libere e democratiche, alle quali noi non parteciperemo». 
L’antica fama di Timbuctù «regina delle sabbie», luogo geografico misterioso ed estremo, frizzante crocevia carovaniero di oro, avorio e schiavi in cui gli amanuensi producono meraviglie ad uso dei sapienti islamici, si è sbriciolata da tempo. Di mitico, sotto una patina di polvere e abbandono, è rimasta solo l’ostinazione a viverci dei suoi abitanti. Ma la conquista della città  da parte dei combattenti tuareg – avvenuta sembra dopo breve trattativa con le truppe lealiste arabe che avevano rimpiazzato le postazioni lasciate sguarnite dall’esercito maliano in rotta – ha comunque un alto valore militare, mediatico e simbolico. Dopo la conquista di Tessalit, Kidal e poche ore dopo aver sbaragliato le truppe che difendevano la città -guarnigione di Gao, capoluogo della regione, prendendo Timbuctù il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) ha spaccato il paese in due (altra evenienza che i militari golpisti volevano evitare) e si è messo in una posizione di vantaggio in vista della trattativa che ora viene auspicata da tutte le parti in campo, fuori e dentro il Mali. 
Più difficile sarà , per il movimento che raduna le diverse anime della lotta contro il potere centrale – iniziata negli anni ’60 dopo l’indipendenza dalla Francia e proseguita tra fiammate di guerra civile e accordi di pace fino a oggi – convincere la comunità  internazionale ad appoggiare le sue velleità  indipendentiste. Pesa troppo l’alleanza militare – riportata da diverse fonti – con forze jihadiste, più o meno dissidenti rispetto ad al Qaeda au Maghreb islamique (Aqmi), che hanno dato man forte all’impetuosa avanzata dei ribelli verso sud. L’Mnla ribadisce la sua laicità , ma l’aiuto ricevuto dai miliziani di Anà§ar Dine (Difesa dell’Islam, sotto il controllo del leader tuareg Iyad Ag Ghaly) e dal Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’Ouest (Mujao), non passerà  inosservato. Né farà  una buona impressione il fatto che nelle città  conquistate saccheggi e distruzioni hanno riguardato prima di tutto bar e rivendite di alcolici. 
La Comunità  economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao, o Ecowas in inglese) ha gelato i militari che hanno deposto il presidente Touré a poco più di un mese dalle elezioni con sanzioni e restrizioni che un paese così vasto, povero e privo di sbocchi al mare non poteva sopportare a lungo. Ma d’altro canto è stato posto l’accento sull’indivisibilità  del Mali. E i tuareg, anche nel nord, sono solo una delle componenti etniche del mosaico maliano. Il ministro degli esteri francese Juppé, che ieri era a Dakar per l’insediamento del nuovo presidente senegalese Macky Sall, ha escluso qualsiasi intervento di Parigi, ma ha anche ricordato che nella regione ci sono 5 ostaggi francesi nelle mani di Al-Qaeda nel Maghreb islamique e insinuato che le fazioni jihadiste «stiano per prendere il sopravvento». E visto che «la situazione sta degenerando», resta la raccomandazione fatta ai 5 mila francesi residenti in Mali di lasciare il paese se la loro presenza non è essenziale.
Moussa Ag Assarid, portavoce dei ribelli, fa sapere che un’ulteriore avanzata verso la capitale non è in agenda: «Bamako – ha detto – è la capitale del Mali»

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