Giovani ufficiali alle corde

Loading

È esattamente lo scenario che i giovani ufficiali guidati dal capitano Sanogo volevano scongiurare con il golpe del 22 marzo. La disfatta dell’esercito a questo punto è anche diplomatica, dal momento che le pressioni internazionali per un ritorno del potere in mani civili hanno convinto i militari a ripristinare l’ordine costituzionale e ad annunciare «elezioni libere e democratiche, alle quali noi non parteciperemo». 
L’antica fama di Timbuctù «regina delle sabbie», luogo geografico misterioso ed estremo, frizzante crocevia carovaniero di oro, avorio e schiavi in cui gli amanuensi producono meraviglie ad uso dei sapienti islamici, si è sbriciolata da tempo. Di mitico, sotto una patina di polvere e abbandono, è rimasta solo l’ostinazione a viverci dei suoi abitanti. Ma la conquista della città  da parte dei combattenti tuareg – avvenuta sembra dopo breve trattativa con le truppe lealiste arabe che avevano rimpiazzato le postazioni lasciate sguarnite dall’esercito maliano in rotta – ha comunque un alto valore militare, mediatico e simbolico. Dopo la conquista di Tessalit, Kidal e poche ore dopo aver sbaragliato le truppe che difendevano la città -guarnigione di Gao, capoluogo della regione, prendendo Timbuctù il Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) ha spaccato il paese in due (altra evenienza che i militari golpisti volevano evitare) e si è messo in una posizione di vantaggio in vista della trattativa che ora viene auspicata da tutte le parti in campo, fuori e dentro il Mali. 
Più difficile sarà , per il movimento che raduna le diverse anime della lotta contro il potere centrale – iniziata negli anni ’60 dopo l’indipendenza dalla Francia e proseguita tra fiammate di guerra civile e accordi di pace fino a oggi – convincere la comunità  internazionale ad appoggiare le sue velleità  indipendentiste. Pesa troppo l’alleanza militare – riportata da diverse fonti – con forze jihadiste, più o meno dissidenti rispetto ad al Qaeda au Maghreb islamique (Aqmi), che hanno dato man forte all’impetuosa avanzata dei ribelli verso sud. L’Mnla ribadisce la sua laicità , ma l’aiuto ricevuto dai miliziani di Anà§ar Dine (Difesa dell’Islam, sotto il controllo del leader tuareg Iyad Ag Ghaly) e dal Mouvement pour l’unicité et le jihad en Afrique de l’Ouest (Mujao), non passerà  inosservato. Né farà  una buona impressione il fatto che nelle città  conquistate saccheggi e distruzioni hanno riguardato prima di tutto bar e rivendite di alcolici. 
La Comunità  economica degli stati dell’Africa occidentale (Cedeao, o Ecowas in inglese) ha gelato i militari che hanno deposto il presidente Touré a poco più di un mese dalle elezioni con sanzioni e restrizioni che un paese così vasto, povero e privo di sbocchi al mare non poteva sopportare a lungo. Ma d’altro canto è stato posto l’accento sull’indivisibilità  del Mali. E i tuareg, anche nel nord, sono solo una delle componenti etniche del mosaico maliano. Il ministro degli esteri francese Juppé, che ieri era a Dakar per l’insediamento del nuovo presidente senegalese Macky Sall, ha escluso qualsiasi intervento di Parigi, ma ha anche ricordato che nella regione ci sono 5 ostaggi francesi nelle mani di Al-Qaeda nel Maghreb islamique e insinuato che le fazioni jihadiste «stiano per prendere il sopravvento». E visto che «la situazione sta degenerando», resta la raccomandazione fatta ai 5 mila francesi residenti in Mali di lasciare il paese se la loro presenza non è essenziale.
Moussa Ag Assarid, portavoce dei ribelli, fa sapere che un’ulteriore avanzata verso la capitale non è in agenda: «Bamako – ha detto – è la capitale del Mali»


Related Articles

Uno dei due piloti chiuso fuori dalla cabina L’unica certezza: non c’era una bomba

Loading

 Nell’audio della scatola nera si sente bussare alla porta che non viene aperta. L’ultimo messaggio ai controllori

Proteste in Kuwait

Loading

Notizie dal Kuwait

Sabato ci sono state le elezioni per il nuovo Parlamento, l’opposizione le ha boicottate e da tre giorni ci sono proteste e scontri

Uno scheletro nell’armadio della Nato

Loading

Il presidente del Kosovo, Hashim Thaçi, è stato incriminato con altre nove persone dalla Corte dell’Aja, con l’accusa di crimini di guerra e contro l’umanità. Sarebbero «responsabili di circa 100 omicidi», di espianto d’organi e torture

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment