Fuori dalle elezioni i tre pezzi forti Fratelli musulmani avanti piano

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Nessuno ci credeva eppure è accaduto. Alle elezioni presidenziali egiziane di maggio non ci saranno i tre candidati più controversi e influenti: l’ex capo dei servizi segreti del raìs Hosni Mubarak, Omar Suleiman; il potente imprenditore dei Fratelli Musulmani, Khairat Shater; e il populista salafita Hazem Abu Ismail. 
Martedì sera la Commissione elettorale li ha definitivamente dichiarati «ineleggibili», per motivi diversi, assieme ad altri sette candidati meno famosi (tranne Ayman Nour, che nel 2005 sfidò Mubarak). Abu Ismail deciso a non arrendersi – ieri ha di nuovo portato in piazza i suoi sostenitori – paga per il passaporto americano della madre (quindi per una «doppia cittadinanza», che lui nega, non prevista dalla legge elettorale). Shater è ineleggibile per il suo passato in carcere: una beffa visto che quel destino era toccato a molti dei dirigenti dei Fratelli Musulmani che durante il trentennio di Mubarak erano fuorilegge. Nel caso di Suleiman infine avrebbe dovuto pesare il suo passato di uomo dell’ancien regime e la sua responsabilità  in vari crimini, invece è stato escluso per il numero troppo esiguo di firme raccolte a sostegno della sua candidatura. Il nuovo-vecchio Egitto non manca mai di sorprendere.
Che impatto avranno queste esclusioni sulla fragile stabilità  del paese lo si capirà  nei prossimi giorni. Incidenti e proteste potrebbero dare l’opportunità  alla giunta militare per farsi nuovamente avanti ora che il suo mandato sta per avere termine (i militari dovrebbero lasciare il potere dopo l’elezione del presidente e la redazione della nuova Costituzione). Ma questo scenario è improbabile, anche perché i Fratelli musulmani, prima forza politica dell’Egitto, hanno tutto l’interesse a vedere realizzato nei tempi previsti il passaggio ai civili dei poteri ora nelle mano dei comandanti delle Forze Armate. 
La confraternita, peraltro, non si è persa d’animo e ha immediatamente annunciato il sostituto di Shater. Si tratta di Mohamed Morsy, presidente del loro partito, «Libertà  e Giustizia». Un esponente di primo piano ma senza il peso e l’influenza di Shater, brillante uomo d’affari, ricco, vicino all’alta imprenditoria egiziana e, di conseguenza, in grado di tranquillizzarla sulle politiche economiche che adotterà  il futuro governo, a guida islamista. Le possibilità  di Morsy sono tutte da costruire, considerando che manca poco più di un mese al voto. Shater però non sparisce e certo darà  pieno appoggio alla candidatura del compagno di partito, anche perché il suo ruolo nel futuro esecutivo egiziano sarà  centrale in economia e in diplomazia.
Vice della guida suprema dei Fratelli musulmani, Shater in questi ultimi mesi è stato in grado di rassicurare un po’ tutti, anche gli Stati Uniti, che, in ogni caso, consideravano molto più pericolosa per i loro interessi la candidatura del salafita Abu Ismail. Non solo, ha fatto capire all’Amministrazione Obama che la confraternita, tolto qualche tono bellicoso ad uso interno, non ha alcuna intenzione di sospendere il Trattato di pace tra Egitto e Israele (al massimo di rinegoziarlo in parte) e, punto altrettanto importante, condivide pienamente e sostiene il liberismo in economia. In sostanza ha informato Washington che nel «nuovo» Egitto non saranno avviate politiche economiche destinate a redistribuire la ricchezza a vantaggio delle decine di milioni di egiziani che vivono nella miseria (a questi andranno le elemosine) e cambiate le leggi che oggi consentono agli imprenditori di sfruttare come desiderano i lavoratori. 
Secondo Nathan Brown, docente di scienze politiche alla George Washington University, «gli Stati Uniti non hanno un loro candidato alle elezioni egiziane, ciò che vogliono vedere (in Egitto) sono le liberalizzazioni economiche e non l’affermarsi di un pericoloso populismo. Da questo punto di vista – prosegue – le posizioni espresse da Shater (a nome dei Fratelli musulmani) sono rassicuranti». Una vittoria di Suleiman, aggiunge Brown, «avrebbe riportato l’Egitto indietro e sarebbe stato negativo per la stabilità  del paese». Il candidato escluso, nei pochi giorni della sua campagna per le presidenziali, aveva avuto tempo e modo di dichiarare di essere favorevole a «politiche volte ad attirare gli investimenti arabi ed occidentali» (offrendo come biglietto da visita il bassissimo costo del lavoro in Egitto?), di essere un sostenitore «delle privatizzazioni e di grandi progetti di sviluppo privati e non pubblici». Punti che Shater aveva avuto modo di spiegare lo scorso febbraio anche al senatore americano John McCain. 
Con una campagna intensa nelle strade del paese e il sostegno di Shater, persino il poco carismatico Mohammed Morsy può recuperare consensi e sconfiggere il nuovo favorito alla presidenza, l’ex segretario della Lega araba Amr Musa, regalando la carica più alta dello stato ai Fratelli musulmani, che già  controllano il parlamento e domineranno il futuro governo.


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