Frena il Pil americano, accuse all’Europa “Basta con l’austerity made in Germany”

by Sergio Segio | 28 Aprile 2012 7:51

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NEW YORK – Frena la crescita americana e tra le cause del suo rallentamento c’è la recessione europea. L’America si scopre a “tifare” per la vittoria di Franà§ois Hollande e per la “nuova linea Monti” favorevole a politiche di crescita. Non è più solo l’Amministrazione Obama, ma anche l’establishment industriale e finanziario a sperare in una strategia alternativa rispetto all’austerity imposta dalla Germania.

L’allarme negli Stati Uniti è cresciuto ieri con il nuovo dato sul Pil: nel primo trimestre è aumentato del 2,2%. Una crescita “da sogno” solo se vista con gli occhiali di un’Europa in grave recessione.

Ma per gli Usa è un netto rallentamento rispetto al trimestre precedente (il Pil era aumentato del 3%). Una crescita così moderata non è in grado di riassorbire velocemente l’elevata disoccupazione, eredità  della grande crisi del 2008 e 2009. La Federal Reserve lo conferma: di questo passo la disoccupazione resterebbe vicina al 7% fino alla fine del 2014. Tutti gli osservatori americani per una volta concordano su un punto: al rallentamento della locomotiva americana contribuisce senza alcun dubbio la vecchia Europa, divenuta una “zavorra” per tutte le altre aree del mondo, dalla Cina al Brasile fino agli Stati Uniti. Nessuno è al riparo, quando il più vasto mercato del mondo (che è appunto quello dell’Unione europea) sprofonda nella sua seconda recessione in quattro anni. Perciò si avverte negli Usa un compiacimento di fronte ai segnali di “sgretolamento” dell’egemonia tedesca sulle politiche economiche europee. Perfino il Wall Street Journal, organo dell’establishment e vicino alla destra repubblicana, osserva con interesse che «diversi paesi si stanno sganciando da quella coalizione guidata dalla Germania che finora ha promosso l’austerity». Il quotidiano newyorchese di Rupert Murdoch sottolinea che «la coalizione dell’austerity ha perso un forte sostenitore con la caduta del governo olandese», e un altro alleato se n’è andato da quando in Slovacchia sono arrivati al potere i socialisti. «La squadra tedesca si rimpicciolisce, restano solo Finlandia e Slovenia», secondo il conteggio delle forze in campo che fa il Wall Street Journal. Sull’altro fronte, il quotidiano economico osserva che la probabile vittoria di Franà§ois Hollande alle presidenziali francesi cambierà  tutti gli equilibri europei; inoltre sottolinea con interesse che «uno stimato economista come Monti ammonisce i suoi partner sui difetti di una dieta di austerità ». Il riferimento è al discorso che il presidente del Consiglio italiano ha tenuto giovedì a Bruxelles: «Monti si è dimostrato in grado di argomentare in modo credibile le difficoltà  di un aggiustamento pro-ciclico (cioè recessivo, ndr) nei paesi del Sud». Se vince Hollande il 6 maggio, il Wall Street Journal intravede un asse con Monti per spingere verso politiche di sviluppo. Se perfino un pezzo di establishment capitalistico auspica una svolta in favore della crescita in Europa, le posizioni sono ancora più vigorose sul fronte democratico. Il New York Times, più vicino all’Amministrazione Obama, paragona l’eurozona a «un matrimonio in crisi» e si chiede «che cosa si può fare per scongiurare un divorzio disastroso». Il monito è rivolto alla Germania, perché «i venti politici europei ora si muovono contro di lei». Il New York Times avverte: «Sarebbe la Germania a soffrire di più in caso di disintegrazione dell’euro, un nuovo marco tedesco si rivaluterebbe rapidamente danneggiando la sua competitività ». Il più duro di tutti è il premio Nobel dell’economia Paul Krugman, le cui posizioni un tempo radicali ora sono viste con crescente simpatia dalla Casa Bianca. Krugman paragona le manovre di austerity nell’eurozona a «degli zombi, delle politiche economiche che avrebbero dovuto essere uccise per l’evidenza dei loro errori, e invece continuano ad aggirarsi». Nessuno sa, conclude, «quando finirà  questo regno dell’errore». Per Barack Obama così come per Mitt Romney, il dramma europeo diventa un elemento centrale nella battaglia presidenziale di qui a novembre. Da una parte la recessione europea, rallentando la crescita Usa, può diminuire le chance di rielezione del presidente uscente. D’altra parte è un colpo a quella strategia di tagli anti-deficit sostenuta da Romney. Uno dei “modelli positivi” additati dalla destra Usa è il premier conservatore inglese David Cameron: i suoi tagli al Welfare hanno precipitato la Gran Bretagna nella recessione più grave dagli anni Trenta.

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