Foto sfocata sui migranti

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C’è da chiedersi quale è la novità  del censimento della popolazione del 2011 per quel che riguarda gli immigrati: se il fatto che sono passati dal milione e 300 mila del 2001 ai 3 milioni e 700 mila del nuovo censimento; oppure il fatto che il censimento è riuscito a censirne solo 3 milioni e 770 mila contro i (quasi) quattro milioni e mezzo risultanti all’anagrafe e che i rapporti Caritas pubblicizzano sottolineando anche la presenza di una – invero modesta – quota aggiuntiva di irregolari.
Per me la domanda più importante è la seconda. Ma anche sul primo dato vale la pena discutere. Gli immigrati sono almeno triplicati nel corso del decennio secondo quel che ci dice il censimento che – come vedremo – sottostima i dati. E questo si sapeva: basta girare per l’Italia e soprattutto basta andare vicino a qualche scuola elementare e media di quartieri popolari delle città  italiane per avere la conferma della ormai strutturale presenza di stranieri e di ex-stranieri – o, meglio, di nuovi italiani – nel nostro paese. Questo è quanto accade ovunque nell’Europa Mediterranea: in Spagna, come in Italia, l’incidenza degli stranieri sul totale della popolazione sta raggiungendo (e in qualche caso superando) quella dei paesi europei più ricchi e di più antica immigrazione. Ciò che merita di essere sottolineato è che questa stabilizzazione è avvenuta nonostante il decennio scorso sia stato caratterizzato da una gestione della immigrazione di orientamento xenofobo gestita in sostanza dalla lega Nord. 
L’espressione legislativa di questo orientamento è stato il pacchetto Bossi-Fini che, con la norma sul contratto di soggiorno, intendeva rispedire a casa i lavoratori immigrati al termine del loro contratto di lavoro. Ma, se gli intenti persecutori di quella legge hanno avuto successo nel rendere più dura e difficile la vita degli immigrati, essi non sono riusciti a frenarne e il flusso e soprattutto la stabilizzazione. Ciò per il semplice fatto che non è facile fermare gli immigrati quando c’è una forte domanda di lavoro per determinate occupazioni nonostante la crisi in una fase di intensa internazionalizzazione e segmentazione del mercato del lavoro. Per dirla banalmente, «Dove si trova la badante per le nonne dei vari Trota di un Nord ad alto tasso di invecchiamento?» Oppure: «Chi in Italia è disposto a spaccarsi la schiena Foggia e Rosarno raccogliendo arance o pomodori a 25 euro al giorno in condizioni di lavoro durissime e malsane»? Così come in Germania il modello rotatorio di politica migratoria (fondato sulla stessa ideologia dell’immigrato “usa e getta”) è in larga misura fallito, in Italia la Bossi-Fini non è riuscita a frenare né il flusso né la stabilizzazione degli immigrati stranieri.
E questo per quel che riguarda l’aumento. Per quando riguarda il secondo dato, la differenza tra immigrati (per la precisione, gli stranieri) iscritti all’anagrafe e immigrati censiti, la spiegazione mi sembra molto semplice. L’iscrizione anagrafica in Italia è un bene prezioso: se uno ce l’ha tende razionalmente a conservarla perché non si sa mai. Prima (fino a una quindicina di anni addietro) gli immigrati non si iscrivevano facilmente all’anagrafe. Poi, con le ultime sanatorie e i decreti flusso, l’iscrizione è avvenuta per legge contestualmente alla regolarizzazione. E questo ha reso il dato anagrafico piuttosto attendibile, tranne che per qualche mancata cancellazione. Per fare un esempio, gli operai bresciani o della provincia di Reggio Emilia che con la crisi hanno perso il lavoro e sono venuti a lavorare al nero nella piana di Sibari, nella zona di Rosarno o nella Valle del Sele non hanno provveduto alla cancellazione anagrafica nella speranza di tornare. E i rilevatori del censimento non li hanno trovati. Tutto qui.
Una volta, quando erano gli italiani a emigrare, in base al censimento si effettuavano correttamente le cancellazioni anagrafiche. Infatti il censimento dava una fotografia piuttosto chiara e nitida della situazione. Ora la situazione è molto più fluida e la foto, per così dire, viene un po’ mossa. Ma il problema non è l’Istat che non è attrezzata a sufficienza. Per altro qualcosa sembra sia stato fatto provvedendo i comuni di informazioni aggiuntive con dati di fonte amministrativa sugli immigrati (presumibilmente i permessi di soggiorno rilasciati dalle questure). Il problema sta nella società  italiana: dove sono finite le persone non trovate dall’Istat? 
La domanda non è priva di rilevanza sociale. Ma la sua stessa esistenza è prova della complessità  della situazione e dei danni provocati dalla Bossi-Fini e successive persecuzioni degli immigrati nello scorso decennio. Sull’altro fronte però si può ormai prendere atto definitivamente che stabilizzazione ormai c’è: quella italiana è ormai una società  multietnica. Le cose potrebbero di certo andar meglio e gli immigrati non stanno bene. Ma la loro tenacia e la loro forza, in un ambiente ostile, hanno portato alla triplicazione del loro numero.


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