Fiat, il 90% dei profitti arrivano dalle Americhe

by Editore | 5 Aprile 2012 3:34

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TORINO – La Fiat è un’azienda globale che vuole salvare le sue radici italiane. Per riuscirci l’obiettivo è quello di «raggiungere il pareggio delle attività  europee entro il 2014». Sembra facile, ma le torte che illustrato la relazione dell’ad di fronte agli azionisti della casa torinese sono tutt’altro che rassicuranti. Dicono che nel 2011 il 45 per cento dei ricavi di Fiat-Chrysler è stato fatto in Nordamerica mentre il 37 per cento arriva dall’Europa e il 15 per cento dal Sudamerica. Ma se si passa dai ricavi ai profitti si scopre che il 52 per cento è fatto in Nordamerica, il 37 per cento in Sudamerica mentre l’Europa galleggia intorno al pareggio grazie alla somma algebrica tra i risultati dei marchi di lusso (più 400 milioni) e le perdite dei marchi generalisti (meno 500 milioni. Fino a quando la Fiat sarà  in grado di reggere questo sistema a due velocità ? Per il momento Marchionne prende tempo: «La fusione non è un problema di oggi», rassicura l’ad. Ma certo «l’Italia deve fare presto». Quella di Torino «è una multinazionale. Non ha più senso parlare di Fiat italiana o europea. Spetta all’Italia decidere se vuol far parte del nostro progetto, essere una tessera importante nel mosaico che stiamo costruendo». Parole che lasciano aperti tutti gli scenari. Marchionne non spinge più di tanto sull’acceleratore della polemica con la Cgil, anche se promette che «la Fiat valuterà  l’impatto delle cause giudiziarie in corso» promosse dalla Fiom contro l’estromissione dei suoi delegati dalle fabbriche. La soddisfazione per la sentenza favorevole del Tribunale di Milano è bilanciata dall’amarezza per la sconfitta al Tribunale di Bologna, quando la Fiat aveva commentato dicendosi «stupefatta». 
L’amministratore delegato elogia le scelte di Monti. Cita nel suo discorso agli azionisti le parole del premier sulla libertà  di scelta delle aziende e in conferenza stampa garantisce l’appoggio di Torino a Palazzo Chigi: «Monti è impegnato in un lavoraccio sulla riforma del mercato del lavoro. Dobbiamo lasciarlo agire. Se non ce la fa lui, non ce la fa nessuno. Per quello che posso, lo appoggio». In coerenza con questa posizione, Marchionne preferisce non entrare in valutazioni sulle modifiche proposte all’articolo 18.
L’assemblea sul bilancio 2011 è anche l’occasione per guardare indietro al lavoro fatto. Quello appena concluso è stato l’anno dello spin-off, della divisione tra il settore auto e il resto del gruppo, ed è stato l’anno della conquista della maggioranza a Detroit, con la conseguenza che quello approvato ieri è stato il primo bilancio che consolidava, almeno per gli ultimi sette mesi, i risultati di Chysler. Così, con orgoglio, John Elkann può aprire l’incontro con gli azionisti annunciando: «Il 2011 ha cambiato la Fiat per sempre». Un’aria di novità  confermata da un cda più agile (9 membri invece di 15) e con due donne (la giornalista Patience Wheatcroft e la manager Joyce Victoria Bigio). Nell’immediato, Marchionne conferma i target per l’anno in corso: ricavi per 77 miliardi e un utile compreso tra 1,2 e 1,5 miliardi. Poi precisa che «sarà  necessario attendere i risultati del terzo trimestre» per avere un quadro più certo.

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