Ezpeleta, 169 morti che ci riguardano

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BUENOS AIRES  – C’è un luogo al sud del mondo in cui si annida una colpa nostra. È un fatto di omicidio colposo, inquinamento e indifferenza, che potrebbe diventare presto anche una bancarotta, facendo come al solito dell’imperialismo italiano una versione patetica di una pratica già  di per sé crudele. Questo posto si trova nel punto in cui Buenos Aires smette di far l’Europa e gli si vede l’America Latina che ha attorno. Un luogo simile a cento altri in giro per l’Argentina, in cui una centrale elettrica ronza in testa a chi ci vive vicino e a chi ci lavora dentro. In questo caso, però, noi c’entriamo più che altrove, perché il proprietario della centrale è l’Enel e il proprietario dell’Enel è l’Italia.
L’inquinamento elettromagnetico non esiste. Nel 1979, gli scienziati americani Wertheimer e Leeper osservarono una strana correlazione tra l’elettrosmog e la leucemia, il cancro al cervello, all’utero ed al seno. Qualche decennio di ricerche dopo, alle quali ha dato un grande contributo anche il centro Ramazzini di Bologna, l’Organizzazione Mondiale della Sanità  offre conclusioni sempre più preoccupanti, ma ancora non definitive: un forte elettromagnetismo è micidiale, ma se questo è debole, rientra nella stessa zona di pericolosità  del salame e del caffè.
Un flagello da 132 mila volt
Nella cittadina di Ezpeleta, un sobborgo proletario a sud di Buenos Aires, in cui il cemento si disfa in polvere prima che inizino i prati delle Pampas, un gruppo di residenti (2.800 in tutto) si è accorto alla fine degli anni Novanta che il 10% di loro era gravemente ammalato, indipendentemente dal fatto che fosse un bambino, un adulto o un anziano. Dopo esserselo chiesto a lungo, si sono convinti che la colpa del flagello andava data alla sottostazione elettrica Sobral, un trasformatore da 132 mila volt di potenza, utilizzato per alimentare il lavoro di una fabbrica vicina.
Il 16 giugno del 2003, Ezpeleta vide premiati i suoi primi 6 anni di lotte, con una sentenza d’Appello di un tribunale della città  di La Plata, in cui si imponeva lo stop ai lavori di potenziamento del nodo di Sobral, fino a che non si intervenisse per proteggere la salute delle persone. Ciò nonostante, gli avvocati hanno fatto sì che la centrale non smettesse mai di funzionare. Nei 9 anni trascorsi da allora, le famiglie colpite in un raggio di 500 metri dal trasformatore sono arrivate ad essere 700. Per fare solo qualche esempio, Maria Elena, pronipote di uno degli ultimi ministri della Russia zarista, fuggito al sud quando la sua patria bianca si fece irrimediabilmente rossa, si è ammalata di cancro al seno ed è morta l’8 luglio 2005. Carlos, camionista, non aveva mai sentito parlare del linfoma di Hodginks, fino a che non se l’è visto tirar fuori dal petto. Margarita, 62 anni, è stata obbligata dal carcinoma maligno ad avere per sempre la pelle d’oca. Sabrina, invece, si è ammalata di leucemia che aveva 15 anni. Ne ha trascorsi 16 cercando di strappare le sue ossa al male e il suo sorriso al malumore, senza riuscirci mai del tutto, come d’altra parte neanche il male riuscì mai a strappare a lei la sua bellezza. All’età  di 31 anni, è diventata, venerdì scorso, la vittima numero 169. Vicino a dove viveva, ci sono ancora altre 122 persone ammalate che, con i loro cari, non si rassegnano all’idea che l’unica alternativa al viver male, sia quella di morire. 
Le sottostazioni elettriche si installano ovunque l’alta tensione debba essere ridotta per esser data a una fabbrica o a un gruppo di case. Questa è stata costruita dalla filiale argentina dell’Enel, Edesur, ma le altre sono uguali. La legge locale contro l’elettrosmog consente campi magnetici fino a 25 micro Tesla, mentre in Italia, per esempio, il limite per le costruzioni esistenti è 10, ma per quelle nuove solo di 3. Secondo il ricercatore svedese Anders Albhom, addirittura, 0,3 micro Tesla sono già  pericolosi, tant’è che in Emilia Romagna il massimo è di 0,2.
Parere tecnico, non sanitario
Perché tanta differenza? «La normativa argentina esprime un parere tecnico, non sanitario», ovvero stabilisce che un nodo elettrico può funzionare fino ad un determinato regime, ma non dice poi fino a quanti micro Tesla possa funzionare un corpo umano che gli sta accanto. Lo spiega Ernesto Salgado uno dei residenti di Berazategui, un paesino impronunciabile al confine con Ezpeleta, in cui l’Enel sta costruendo un’altra sottostazione identica. Nei 7 anni di lotte che vantano già  gli studenti, i pensionati e tutti gli altri comuni mortali riuniti nell’Asamblea Vecinal, ci si è già  scontrati con la polizia nel 2006, nel 2009 e l’anno scorso, con feriti, arresti e denunce per sedizione. 
Fuori dai denti, quelli di Berazategui confessano di sapere che non riusciranno mai a fermare la messa in opera della macchina: da due mesi il quartiere attorno alla sottostazione è presidiato da due plotoni di polizia celere, che proteggono la fine dei lavori di costruzione. Tuttavia, questo non gli sembra una buona ragione per smettere di combattere. E poi, sanno che i conti dell’Enel qui in Argentina non vanno tanto bene, allora forse, prima che l’ufficio che regola il settore elettrico locale, Enre, si decida ad ascoltarli, interverrà  invece la storia, a far si che gli avvocati e i finanzieri venuti senza scrupoli, se ne vadano perché sono rimasti senza soldi.


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