Equilibrio acrobatico fra alleati volenterosi e difficoltà  intatte

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Eppure, quando oggi il presidente del Consiglio riunirà  i suoi ministri, le trattative informali saranno già  andate avanti. Il problema è che un nuovo incontro a Palazzo Chigi fra il capo del governo e gli alleati può essere solo di ratifica di un’intesa: non può rischiare di svolgersi senza averne prima costruito le premesse politiche. Altrimenti diventerebbe lo specchio di una maggioranza divisa, con i commensali costretti a discutere in presenza di almeno un convitato di pietra: le tensioni dentro il Pd e le pressioni della Cgil.
Per questo il premier aspetta di verificare i margini di manovra di interlocutori che appaiono più vicini. Si vuole anche evitare che una soluzione sia percepita come un arretramento: insomma, un’operazione gattopardesca tesa solo a preservare il governo. Ancora, Monti deve scongiurare che qualcuno possa cantare vittoria. Si tratta di un equilibrio acrobatico. Il Pd è costretto a fare i conti col sindacato di Susanna Camusso, poco propensa ad accettare una riformulazione dell’articolo 18 sui licenziamenti; ma anche dell’Idv di Antonio Di Pietro, convinto che l’unico modo per trovare un’intesa sia di non toccare nulla: tesi identica a quella espressa dalla Lega sul fronte opposto.
Non solo. Dentro il Pd esiste una filiera contraria a un consolidamento dell’alleanza con Pdl e Udc. Il governo teme soprattutto la componente che fa riferimento al presidente del Pd, Rosy Bindi, interlocutrice dell’Idv e di Sinistra ecologia e libertà : gli oppositori di una riforma elettorale in chiave proporzionale. Si tratta di settori speculari agli esponenti del Pdl che provengono da An; e che minacciano di rallentare e far saltare l’accordo di massima raggiunto qualche giorno fa sul sistema di voto da Alfano con gli altri due partiti. Eppure, Bersani continua a comunicare una disponibilità  sincera non solo all’accordo, ma a farlo presto: prima delle amministrative di maggio, come chiede Pier Ferdinando Casini.
Ma l’idea di approvarlo «come se si trattasse di un decreto», e dunque rapidamente, dipende dal superamento di quello che sta diventando una sorta di sotto-tabù: la possibilità  di rivolgersi alla magistratura per ottenere il reintegro in caso di licenziamento. I vertici del Pd ritengono che senza quella concessione, il «sì» sarà  impossibile. Monti e il ministro del Welfare, Elsa Fornero, temono tuttora però che Bersani possa essere indotto dalla Cgil al «no». Alfano ammette che «è meglio fare la riforma insieme che separati». Ma aggiunge la preoccupazione che l’agenda possa essere dettata dalla Cgil. È uno schema che il segretario del Pd respinge con irritazione. Il mio partito, protesta, «ragiona con la propria testa».
Eppure, il contesto sociale drammatico, con la disoccupazione in aumento e produzione e consumi in picchiata, moltiplicano il rischio di una guerra di logoramento; e di una melina paralizzante su qualunque tema che non sia economico, si tratti di misure contro la corruzione o di riforma della Rai. Insomma, per il governo dei tecnici aumenta il pericolo di trovarsi di fronte più ostacoli di prima. Napolitano si sforza di far notare che Monti sta cercando di combattere la disoccupazione anche con la riforma del mercato del lavoro. «Non è che l’approccio del governo non abbia nulla a che fare con la crescita», ammonisce il capo dello Stato. «L’ostacolo è rappresentato dalla situazione farraginosa che si è venuta a creare» proprio lì. È un invito pressante a non boicottare un’operazione già  difficile. Anche perché, al contrario di qualche mese fa, per il premier certe misure impopolari adesso potrebbero rivelarsi elementi non di forza, ma di debolezza. E l’assenza del testo della legge aggiunge alle polemiche un involontario tocco surreale.


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